lunedì 6 agosto 2012

La fica Ciusa

Anni fa, con l'amico Nene, visitai la mostra dello scultore sardo Francesco Ciusa (morto a Cagliari nel '49), allestita al pianoterra di un palazzo lungo le Zattere, a Venezia.

Pagammo l'entrata. Alla reception una donna e una ragazza, con uno spiccato accento sardo.

Prima di allora non conoscevo l'opera di Ciusa e fu una gran bella scoperta.
I suoi lavori sono un'alchimia di membra figurative amalgamate a forme che ricordano pance di otri e linee design. Fuochi d'artificio per il cervello.

Fra i tanti pezzi in mostra, uno su tutti mi colpì. Era la "Dolorante anima sarda" 1911, gesso. Una donna seduta, col busto ritto e il viso rivolto in alto; fra le ginocchia teneva stretto il suo bambino. Gli occhi buttavano un rancore sconfinato, tanto grande da sfigurarla, da cancellare lo sguardo.
Scagliava contro il cielo un'ira inconsolabile. Era livore riservato a Dio, secondo lei unico colpevole della morte del marito pastore.  Lutto che l'aveva lasciata sola, in balia del destino, con un marmocchio da crescere adulto.
Ciusa si ispirò a un ricordo di gioventù per modellare le forme della Dolorante anima sarda.

Mi accorsi che quell'astio nascondeva altro.
Qualcosa di profondo, che apparteneva alla materia stessa più che alla raffigurazione di un viso disperato, si dimenava feroce al suo interno.

La scultura non aveva le braccia.
Cercai di capire perché.
Lessi il trafiletto a fianco.
Le braccia erano state mozzate volontariamente dall'artista perché "facevano le fiche" e, dovendo partecipare a una biennale veneziana, il gesto era stato reputato troppo blasfemo.

Per quanto malizioso sia il mio ragionare, allora non riuscivo proprio a leggere "fighe". Mi ostinavo a interpretare la parola come "fish", trovando "fiche" troppo volgare e troppo assurda la sua presenza in una mostra raffinata. Non convinto delle mie intuizioni, mi recai alla reception per chiedere informazioni alle tipe. Con un certo imbarazzo.

"Ciao, avrei una cosa da chiedere. Una curiosità. Che vuol dire "fare le fiche"? No perché c'è una scultura di là, senza braccia, che in origine facevano le fiche. Sono in difficoltà, vorrei venire a capo del mistero".

La ragazza mi guardò arrossendo.
La donna sorrise, poi mi rispose.
"Non prenderci in giro. Si capisce lontano un chilometro che sei più sardo di noi. Sai benissimo cosa vuol dire fare le fiche".

"Non fatevi ingannare dal mio aspetto. Anche se piccolo e scuro, e con un cognome sardissimo, sfortunatamente non lo sono".
La donna era titubante.
Mostrai la carta d'identità.
A quel punto si convinse.

Mi spiegò che "fare le fiche è un tipico gestaccio sardo, l'equivalente del più comune dito medio alzato.
Mani strette a pugno, il pollice infilato fra indice e medio. La punta del dito opponibile vien fuori dalle altre due come una linguaccia".
"La scultura -continuò la donna- in origine, aveva le braccia incrociate, alzate e rivolte verso dio, con le mani che facevano, appunto, le fiche".

Mistero svelato.


Mi consegnò una cartolina raffigurante l'opera prima della censura.
"Un regalo".
Ringraziai e tornai nella stanza delle sculture.
Mi avvicinai alla Dolorante anima sarda.

Confrontai la cartolina con il pezzo reale.
Seppur doloroso e piegato dalla mestizia, lo sguardo cartaceo era meno furioso di quello della scultura in gesso.
Levare le braccia era stato come tarpare le ali a un uccello. Aveva perso quel tocco scandaloso necessario affinché qualcosa perda la sua valenza di semplice oggetto e diventi opera d'arte.
Eppure, incredibilmente, lo sguardo era diventato assassino e il suo astio verso Dio risultava accresciuto, centuplicato.


Uscii dalla mostra.
La tipa più anziana, prima che me ne andassi, aggiunse:
"Fu la moglie di Ciusa a convincere l'artista che amputare la Dolorante anima sarda era la scelta migliore".


"Le donne, fra loro, riescono ad odiarsi molto di più che fra maschio e femmina. E non si perdonano nulla. Possono dimenticarsene, lasciar perdere, preferire non badare all'offesa. Ma non si perdonano. Se fosse stato un amico a convincere Francesco a tagliar le braccia alla scultura, forse adesso avrebbe un sguardo rassegnato.
I maschi riescono a farsi perdonare dalle femmine quasi tutto (escluse azioni gravi), però, per riuscirci, bisogna essere di maschi un pò ruffiani e un pò figli di puttana". Pensai.

Alla fine, il genio di Ciusa ha avuto la meglio. Ed è questo che conta.

mercoledì 1 agosto 2012

una chiacchierata fra amici

Estratto di un botta e risposta virtuale (commenti da bacheca) con un amico reale. Aleksander Veliscek è Aleg, uno dei protagonisti del racconto regalo "Dramma nella notte degli insetti", racconto che potete trovare clikkando QUI.
Aleksander è un artista e, se la fortuna sarà dalla sua parte, sentiremo parlare di lui.


Aleksander Veliscek Come ti sei trovato col racconto autobiografico rispetto alla pura invenzione?


Matteo Corona Scrivere di cose accadute non è come inventare trame. La seconda è usare ricordi ed esperienze personali come pezzi di lego per comporre qualcosa di nuovo. La prima è invece una specie di ipnosi, esasperata e\o glorificata.


Aleksander Veliscek Quella serata (quella del racconto) meritava di essere scritta anche per la sua "assurdità", non solo come ricordo dei bei tempi trascorsi fra amici, a Venezia. Non credi?


Matteo Corona I tempi di Venezia li ricordo con rimpianti. Eravamo giovani, che è una condizione eccellente per essere liberi. Invece mi imprigionavo volontariamente dentro gabbie mentali che mi impedivano di dare di più. Tornando indietro, non rifarei molte cose, ma certamente seguirei Vido nella sua disavventura, com'è accaduto!


Aleksander Veliscek Non è che avevamo una scelta per gli amici si fa questo e tanto altro ..Vido ne sono convinto al posto nostro l'avrebbe fatto di sicuro..interessante il discorso delle gabbie invisibili ma non ho capito cosa faresti oggi diversamente?


Matteo Corona Mi farei meno paranoie da "senso del dovere". Passavo serate tristissime con una ragazza che non mi amava. Bastava uscire e raggiungevi in campo per ritrovare la vita. E avrei avuto molti più ricordi belli, ora. Il senso del dovere è una sostanza che gli esseri umani producono geneticamente, velenoso come i gas delle auto. Con gli anni scopri che non c'è nessun senso del dovere, solo rispetto e "senso del piacere". Purtroppo gli ostacoli che ci impediscono di rincorrerre i nostri sogni si presentano di continuo e, a volte, sono insormontabili.


Aleksander Veliscek Tipo in stile Hemingway vivo la vita al massimo e la racconto..però probabilmente Shakespeare non ha mai viaggiato eppure riesco ad immedesimarmi nei contesti che descrive...


Matteo Corona Mi lusinga ciò che intendi ma paragonarmi a Hemingway o Shakespeare è come mettere al confronto un carrello della spesa e una Ferrari.
Che sia inventato o accaduto, ogni creazione della mente si slaccia da ciò che è considerato reale: vive in una dimensione a parte.
Spendo il tempo da solo per trovare qualcosa che accomuna tutti.
Il linguaggio delle emozioni appartiene a ognuno di noi, ma è difficile da imparare e lo si studia con la solitudine.
L’ amicizia è qualcosa che ogni essere umano conosce.
É un filo virtuale fra due persone che fanno assieme qualcosa nella realtà.
Per quanto riguarda i ricordi, ricordo (appunto) una bellissima frase. Purtroppo ho dimenticato l’autore.
"Solo il primo ricordo è bello. Perchè ricorda l'evento reale. Gli altri (dello stesso evento), sono tristi, perchè sono solo il ricordo di un ricordo".
Mi vengono in mente i colori dei tubetti per la pittura: più ne mischi e più tendono a perdere brillantezza, a diventare grigi. Mentre i colori della luce, più li sommi, e più diventano luminosi, tendono al bianco, al massimo della luminosità.
L'essere umano è una creatura che somma cose: esperienze, ricordi, azioni, anni. Arricchimenti personali che allo stesso tempo lo invecchiano e appesantiscono. La vita tira verso il basso, verso il buio.
Spero sia come il flettersi prima di spiccare un grande salto verso l'alto. chissà!


Aleksander Veliscek Durante il racconto ti piace anche perderti nella descrizione della città. Per me venezia è soprattutto "immagine": luce-colore-forme. Credo sia difficile trovare le parole giuste per raccontarla.


Matteo Corona Scolpire è più facile che dipingere. Questo perchè quando scolpisci crei un oggetto tridimensionale immaginando o copiando una cosa tridimensionale. La trasposizione è diretta, come dall'italiano all'italiano. Quando invece dipingi, sei costretto a tradurre una forma tridimensionale in un supporto bidimensionale (la tela, un foglio). E’ la trasposizione fra due dimensioni diverse che rende difficile l’operazione.
Trovarsi a tradurre entità senza dimensione come i ricordi in particelle delicate e dalle combinazioni infinite come le parole, è per me molto difficile. Purtroppo non si hanno riferimenti per capire si sta facendo bene o no.
Un ritratto che non assomiglia al soggetto è facile da vedere.
Nel dubbio, meglio tenersi stretti di manica, essere molto critici verso se stessi. A volte si perdono belle idee per eccesso di durezza, ma meglio perdere una frase bella che metterne molte di brutte.


Aleksander Veliscek Confermo l'autocritica. Per quello molti artisti vanno in giro con quelle facce tristi... pensi di scrivere altri nuovi racconti sulla tua esperienza a Venezia o si conclude con la storia del insetto ?


Matteo Corona Verranno altri racconti veneziani perchè mi sono divertito a scrivere questo!


Aleksander Veliscek Gazie Teo.


Matteo Corona Grazie a te Aleg per la piacevole intervista improvvisata.

lunedì 11 giugno 2012

500 kg di Donne, per favore.


Leggevo sul Corriere della Sera, un mese fa, che altissime percentuali di donne in italia, oltre il 30%, vengono pagate meno degli uomini, non hanno potere decisionale per gli acquisti in famiglia e non fanno spese per se stesse. La loro disoccupazione supera di molto quella maschile.

Pochi giorni fa ho acceso la tv e ho visto miss Padania.
Questo programma riassume come i sistemi d'"informazione" attuali  stanno facendo di tutto per mostrare una donna sempre più oggetto e sempre meno essere vivente. La tv è ancora la regina delle nostre case, dal momento che condividiamo la sua compagnia fin dalla tenera età. Perciò essa è responsabile di buona parte dei nostri gusti, comportamenti ed educazione. L'immagine in movimento mescolata al suono invade il cervello in maniera estremamente impregnante.
La tv, si nota, nei così detti varietà, nei vari format che la maggior parte della gente guarda, sta copiando il mondo dell'hard proponendo nuove inquadrature sempre più spinte. Sugli schermi, si insegue un ideale pornografico quando si mostra la donna.

Perché?

Perché il mercato dell'hard è uno dei più forti del pianeta. Non conosce crisi. Messaggi subliminali (ormai molto espliciti) provenienti dallo schermo della regina di (quasi) ogni casa, non possono che fare "bene" a quest'industria, che fattura ogni anno miliardi di euro solo nel nostro paese. Entrare nella nostra quotidianità, ammaliarci con corpi da favola ammiccanti è il modo migliore per spingerci a sentire quel tipo di immaginario familiare, parte di noi. Cercarlo poi nelle varie forme che questo mondo assume e mette a disposizione, dai film, agli spettacoli, all'oggettistica, diviene una conseguenza quasi naturale.



Scopro sulla rete un video agghiacciante: The Shocking Thruth, girato da una regista svedese (Alexa Wolf) nel 2000. La verità non solo è scioccante ma terribile. Scopri che tutte (o quasi) le porno attrici hanno subito violenza carnale in giovane età.  Non voglio fare psicologia spicciola, il dolore delle persone merita rispetto e silenzio. Ma questo dato non può che far trapelare l'inquietante sospetto che queste ragazze intraprendano carriere hard non per volontà, come credevo, ma perché, forse, il trauma della violenza le porta in qualche modo a voler rivivere quei dolorosi momenti. Per cercare di liberarsene una volta per tutte. Per capire cosa è successo loro, trovare risposte a una  barbarie che non ha nessuna risposta logica. E il mondo dell'hard ne approfitta, rimpolpando le proprie fila. Nel disperato tentativo di affrontare i demoni con una terapia d'urto devastante, queste donne finiscono inevitabilmente per perdersi in un mondo che ricorda troppo da vicino le squallide  figure che hanno abusato di loro. Venire a sapere quante pornoattrici (e pornoattori) si suicidano in giovane età, è un pugno nello stomaco che lascia senza parole. Non voglio fare il bacchettone, il moralista. Anche io ho guardato produzioni del genere. Eppure, da quando ho scoperto questa Shocking Thruth, non riesco a pensare alle ragazze del porno se non come vittime di qualcosa di malato. E non a professioniste che hanno deciso in libertà. Perciò non riesco più a guardare film hard.


La donna diviene un oggetto.


La donna nasconde le violenze che subisce nel 90% dei casi.
La donna nasconde il tempo che la invecchia col lifting.
In entrambi i casi è mossa dallo stesso principio: nascondere il suo passato con vergogna.

Perché?


Perché nascondendo le rughe come i ricordi, in realtà nasconde se stessa. Nasconde l'essere umano che è in lei, per adeguarsi a divenire ciò che vuole il mercato. Un oggetto buono a far raggranellare quattrini alle industrie.

Questa brutale mercificazione non è circoscritta all'universo femminile. Ma coinvolge tutti tutti noi. L'"oggetto donna" viene venduto perché c'è domanda, perché esiste qualcuno che la "compra". Orrendamente triste, ma vero.
La conclusione è che stiamo diventando tutti semplici fruitori, macchine che acquistano cose.
Non importa se prede e o vittime, tutti siamo stati fagocitati dal supermercato globale che sta cancellando la nostra umanità per farci diventare consumatori.

E a forza di consumare, si scava una voragine da cui è impossibile risalire.

La perdita dell'identità della donna dilaga a tutte le persone del mondo.
L'essere femminile, in questa silenziosa emoraggia di valori, si fa martire. E come martire diventa mito, il simbolo di un'ingiustizia che va denunciata e combattuta.



sabato 9 giugno 2012

4.5 Richter 4:5 AM

Ore 3.10
Arrivo a casa.
La cosa più piatta dei piedi da hobbit che tengo è l'encefalogramma.
Stanco, mangiato come un maiale, bella serata in compagnia di amici che non vedevo da tempo.
La cosa peggiore per chi si vuole buttare a letto è sapere che fai troppo schifo per piazzarti sotto le lenzuola perciò fra te e il sonno c'è un noioso percorso che va dalla doccia al lavaggio denti al mettersi le mutande.
Per chi ha sonno questo percorso diventa una specie di cammino Santiago de Compostela.

Ore 3.50
Mi decido. Poco da tentennare. Prima inizio, prima vado a dormire. So cosa provava Messner mentre, un passo ogni quarto d'ora, mirava alla cima dell'Everest.
Ciondolo uguale verso il bagno.
Penso di essermi addormentato sotto l'acqua perché non ho ricordi precisi, però alla fine profumavo sapone. Il pilota automatico ha fatto il suo dovere.

Ore 4.05
Sto per spiaggiarmi nella beatitudine sotto coperta. Mi sento come dentro un barattolo di marmellata. Se non dormo mi si scioglieranno gli occhi, poi colerà fuori quel che rimane del cervello.

Arriva.

All'inizio sembra un'auto con la marmitta che sta per staccarsi, mentre parcheggia di sotto.
Poi un camion con le ruote quadrate.
Poi un aereo di Aviano che viene a parcheggiarsi sulla portaerei che hanno costruito al posto del tetto dell'ex scuola di Casso. (Per sposarsi bene con il resto del paesaggio...).

Infine mi rendo conto che può essere solo uno scossone. Bello forte.
Durato abbastanza da convincermi ad aprire la finestra. Ho la fortuna di avere il pavimento esterno a un metro, in caso di bisogno non serve che mi diletti a imitare un Superman dei poveri. Non Volo (messaggio sibliminale). ;)

Poi smette.


Scompare come scompare il sonno.

Maledizione!

Il cane dorme pancia in su. Il sesto senso dei piccoli mammiferi dev'essere diverso da quel che ci si immagina. Forse fanno casino solo in caso di reale pericolo. Anche i gatti dormono. Dormono tutti.
Che invidia.
I vecchi ertani non sono usciti per strada. Forse la scossa del '63, che rulla ancora nei loro ricordi, ha scardinato anche frammenti di DNA. Si sono perciò modificati. Di questa scossetta se ne sono fatti un baffo.


Il mattino seguente le redazioni dei giornali locali è si sono sparate REDBULL per endovena. Non c'è altra spiegazione al loro fervore ipereccitato.
Si parla solo della scossa. La notizia è troppo inconsistente per meritare così tanto clamore. Ma alle redazioni questo non importa. Niente danni o feriti, per fortuna. La scossa è stata forte ma non così forte.

Alcuni mesi fa rimasi a parlare ore con una signora che lavora in una baita isolata dal resto del mondo, in compagnia solo delle sue mucche da latte. Soffre di solitudine cronica e, moderna sirena, quando incontra una persona (che il più delle volte si reca da lei per acquistare i prodotti di latte che produce), l'arpiona e non la molla più.
I capi redazione dei giornali di qui, stamane, mi hanno dato quest'impressione. Sempre lontani dal clamore, soffrono di solitudine per notizione. E così ecco che adesso ne hanno una che, pur non avendo la portata di altre più gravi, fa comunque "notizia". E non la mollano più.

Io intanto ho spostato il geranio.

E ho sonno.


venerdì 1 giugno 2012

Terremoto Emilia:la gente mormora e i media tacciono

Riporto la testimonianza di un'amica, Alessia, che vive a Piacenza. Mi ha scritto ieri sulla bacheca di facebook dopo averle chiesto un resoconto in diretta:

"Matte, qui a Piacenza le scosse si sono avvertite tremendamente bene purtroppo. La paura è stata tanta, hanno evacuato scuole, tribunale e vari uffici del centro storico. Grossi danni per fortuna non ce ne sono stati, a parte qualche crollo di cascine o chiese in provincia. L'unica cosa grave è stato il crollo di parte di un caseificio a Castelvetro (paese qui in provincia), in cui due operai sono rimasti feriti, uno in modo grave. Cmq da queste parti non si parla altro delle trivellazioni per l'estrazione di idrocarburi come possibile causa del dissesto geologico e dei conseguenti terremoti! Tutti lo sanno, ma i media non ne parlano: è una vergogna!!! All'inizio dell'anno il Ministero e la Regione Emilia Romagna hanno dato l'ok per le perforazioni del terreno, in cui vengono pompati liquidi ad alta pressione, per l'estrazione di idrocarburi. E le zone delle perforazioni sono esattamente quelle dell'epicentro!!! (Finale Emilia, Medolla, Mirandola, ecc.) Ora mi chiedo: sono solo coincidenze??? O queste pratiche, VIETATE IN MOLTI ALTRI STATI PROPRIO PER ELEVATO RISCHIO SISMICO, possono essere la causa del dissesto geologico delle faglie??? (questo spiegherebbe anche il fenomeno della fuoriuscita di liquidi e fanghiglia dal terreno in molte zone terremotate!) Ecco il Decreto Ministeriale...se leggi alla fine c'è l'elenco dei paesi in cui si eseguono le perforazioni...ED E' UNA COINCIDENZA DAVVERO STRANA!!! (questi giacimenti per l'estrazione di idrocarburi sono per la maggior parte in pianura padana, ma anche in Abruzzo e Basilicata!)"



Per la prima volta vengo a conoscenza di una pratica di perforazione della crosta terrestre "fracking", che potrebbe causare rischi sismici. Ne ero all'oscuro.
Vuoi sapere cos'è? Clikka qui.
Non posso dire se sia vero oppure no, però dalle testimonianze fin'ora raccolte, il tema in Emilia fa discutere.
Ecco cosa scrive Rosanna. Piacentina anche lei:


"Sono di Piacenza anch'io e confermo tutto quello che ha scritto Alessia;del fracking se ne parlava oggi a scuola con i colleghi. I pareri sono discordanti, ma io rifletto su una cosa: per anni ci hanno raccontato che la Pianura Padana, in quanto pianura alluvionale è a rischio sismico ridotto e finora in effetti grossi eventi sismici non ne abbiamo subiti. I terremoti si sono verificati spesso lungo la dorsale appenninica; le scosse che stiamo avvertendo dal 25 gennaio si sono verificate con epicentri in pianura e questa è un'anomalia che potrebbe essere spiegata proprio con altre cause come quelle riportate da Alessia. Non dimentichiamo anche che Piacenza si trova a 15 km da una centrale nucleare ( Caorso), dismessa è vero, ma con dei depositi di scorie in zona. Nessuno parla nemmeno di questo particolare, ma c'è poco da stare tranquilli".



Ho letto molti quotidiani questi giorni, ma da nessuna parte si legge di questi timori che ha la gente. 
Perchè?
Forse vale la pena analizzare anche questo aspetto, oltre che la fragilità strutturale dei capannoni.


Facebook si fa portavoce di dettagli che i quotidiani e altri mezzi d'informazione filtrano, o ignorano. Sarebbe bello raccogliere altre testimonianze delle persone che abitano le zone colpite dal sisma. E capire quanto esteso è il timore per questo tipo di interventi sul terreno.


Se vuoi approfondire.

giovedì 31 maggio 2012

Omaggio al "Vecchio".

Estate 2008

Mondadori mi contattò per realizzare la copertina di "Storia di Neve".
Ci mettemmo faticosamente d'accordo sul soggetto.
Doveva essere una bimba circondata da alberi artiglio e bufera di neve.
Il giorno seguente queste trattative mi telefonò una loro collaboratrice e mescolò di nuovo le carte in tavola.
"Dovresti provare a fare un volto". Disse.
Cercai di contattare lo staff, per capire meglio.
Inutile, era agosto, e tutti in ferie. Anche la ragazza della telefonata era irrintracciabile.
Che fare?
Decisi per il viso.
Lavorai per tutto il mese.
Ottenni un risultato che reputavo sufficiente.
Entusiasta, consegnai il dipinto. Acrilico su tavola.
La risposta raggelò.
"Non è ciò che ti avevamo chiesto"
Spiegai com'erano andate le cose e mi scusai.
Si scusarono anche loro.
Mancavano due giorni per chiudere i lavori sul libro. andava mandato in stampa. Non si accettavano ritardi.
Non c'era più tempo per fare niente, solo sistemare il bozzetto degli alberi artiglio e la bambina.
Lo feci con poche energie, le avevo spese nel mese di agosto lavorando a tutta birra.


Estate 2010

Stavo lavorando all'embrione di quello che poi sarebbe diventato "Nelle mani dell'uomo corvo".
Il vecchio, a quel tempo, mi faceva da pseudo editor.
Gli sottoponevo delle pagine e lui mi dava alcune dritte.
Vere e proprie lezioni di scrittura, di precisione, di sintesi.
Riusciva darmi le dritte giuste senza andare ad intaccare il mio modo di comporre la storia, fin da subito lontanissimo dal suo stile.
Per il tempo e le risorse che mi ha dedicato in quel periodo, decisi che meritava un omaggio.
L'uomo corvo avrebbe portato come primo libro a Vanessa proprio "Storia di Neve".
E così è andata.
Volli prendermi una piccola "rivincita".
Nell'universo immaginario di Vanessa e dell'uomo corvo, la Mondadori stampa "Storia di neve" con la copertina iniziale.
Un omaggio fra le righe, che alcuni hanno notato e altri no.
Ho voluto fare luce sul "mistero"!




Fino a poco tempo fa preferivo la copertina del viso, ma i boss scelsero l'altra idea. A distanza di anni, penso abbiano fatto bene. Andrebbe solo aggiustata e arricchita. Mi piacerebbe farlo. Chissà, magari per una prossima edizione.


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venerdì 25 maggio 2012

La morte corre lungo le strade di Erto



La passione brucia a velocità stellare.
Non intendo passioni riversate verso persone desiderate, amate, ma l'urgenza irrefrenabile che spinge a rischiare più del dovuto. Per raggiungere sogni o intraprendere attività, vitali quanto l’aria che respiri.
Passioni così possono anche bruciare la vita. 
A coloro che cadono inseguendo sogni va totale rispetto, ammirazione e deferenza.
Ma se questo fuoco mettesse a rischio la vita di chi non condivide lo stesso ardore?
Fatalità?
Certo.
Quella sempre.
Ma.

Venerdì scorso. Percorro con la mia Panda il tratto che da Erto porta a Casso. Sole e cielo tutto azzurro. Infilo il curvone prima del distributore in costruzione. Incorcio cugino: si allena correndo a piedi. “Clacsono” per salutarlo. Alza la mano e sorride. Poco avanti, ragazze in bicicletta. Tutti bordo strada.
Supero il bivio che porta a Casso.
Il cervello non fa in tempo a reagire. Il cuore si ferma un secondo.
Schizza un disco nero davanti agli occhi.
Si inclina. Traballa.
Mi sfiora.
Poi esplode tuono di bomba.
I palpiti riprendono. Respiro.
Sterzo. Rido in silenzio. Se fosse andata male, avrei sterzato da morto.

Quel disco nero era uno dei tanti motociclisti che cavalcano le nostre strade come circuiti di gara.
Iniziata una traiettoria da competizione, la mia presenza lo ha costretto a correggerla come poteva, vacillando pericolosamente per evitare l’impatto. Schizzava a velocità folle su una pallottola due ruote. Di svariati quintali.
Abbiamo rischiato grosso entrambi.
Il mio pensiero corre al cugino. Alle ragazze in bici. A bordo strada.
Telefono al cugino. Tutto bene.

Ieri, episodio simile. Questa volta i motociclisti erano due. Si superavano a vicenda. La statale che divide Erto trasformata nel circuito di Monza. Poco più avanti, a un braccio dai bolidi, madre spingeva il suo bimbo in carrozzina.

Qualsiasi residente di Longarone, Erto, Casso, Cimolais, Claut e di tutti i paesi prima e dopo la Valcellina possono raccontarvene a decine di faccende così. Pare che questo nostro tratto stradale sia una specie di "circuito naturale". I centauri del nordest lo considerano una vera bellezza per la loro voglia di velocità e staccate limite.

La verità è che ogni venerdì, sabato e domenica di bel tempo, dall'inizio dei primi soli primaverili all'arrivo della stagione fredda, percorrere la SS251 è pericoloso. Pericoloso davvero. E la gente ha paura.

Ogni anno muoiono in media due motociclisti nel tratto Erto-Barcis. Quest'anno è già accaduto. Pochi mesi fa. Corrono, curvano, la ghiaia tradisce l’aderenza, escono di strada, impattano contro qualcosa e perdono la vita. Altri incidenti simili a decine, che per fortuna risultano in feriti non gravi.

I centauri da gara li riconosci. Non indossano jeans, giubbotto di pelle e casco che ti permette di guardarli in faccia. Le loro moto non hanno passo da gita. Sono avvolti in tute da prestazione, protetti da caschi a visiera oscurata. Perdono l’umanità per fondersi con la loro bestia motorizzata, diventando una perfetta macchina di velocità.
Vengono apposta per spingersi al limite.

Ho grande rispetto per la vita, per chi lascia questo mondo e per la sofferenza insopportabile della mancanza.
Però, non riesco a smettere di pensare:
"E, se nel mezzo di quella curva fatale, proprio nel punto in cui il centauro rovinava contro il guard rail, stava mio cugino, le ragazze in bici o la madre col passeggino?"

Me lo chiedo e non so rispondermi.

Bisogna attendersi la classica prassi all'italiana (aspettare che muoia un ignaro passante bordo strada) perché chi di dovere prenda provvedimenti?


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