lunedì 6 agosto 2012

La fica Ciusa

Anni fa, con l'amico Nene, visitai la mostra dello scultore sardo Francesco Ciusa (morto a Cagliari nel '49), allestita al pianoterra di un palazzo lungo le Zattere, a Venezia.

Pagammo l'entrata. Alla reception una donna e una ragazza, con uno spiccato accento sardo.

Prima di allora non conoscevo l'opera di Ciusa e fu una gran bella scoperta.
I suoi lavori sono un'alchimia di membra figurative amalgamate a forme che ricordano pance di otri e linee design. Fuochi d'artificio per il cervello.

Fra i tanti pezzi in mostra, uno su tutti mi colpì. Era la "Dolorante anima sarda" 1911, gesso. Una donna seduta, col busto ritto e il viso rivolto in alto; fra le ginocchia teneva stretto il suo bambino. Gli occhi buttavano un rancore sconfinato, tanto grande da sfigurarla, da cancellare lo sguardo.
Scagliava contro il cielo un'ira inconsolabile. Era livore riservato a Dio, secondo lei unico colpevole della morte del marito pastore.  Lutto che l'aveva lasciata sola, in balia del destino, con un marmocchio da crescere adulto.
Ciusa si ispirò a un ricordo di gioventù per modellare le forme della Dolorante anima sarda.

Mi accorsi che quell'astio nascondeva altro.
Qualcosa di profondo, che apparteneva alla materia stessa più che alla raffigurazione di un viso disperato, si dimenava feroce al suo interno.

La scultura non aveva le braccia.
Cercai di capire perché.
Lessi il trafiletto a fianco.
Le braccia erano state mozzate volontariamente dall'artista perché "facevano le fiche" e, dovendo partecipare a una biennale veneziana, il gesto era stato reputato troppo blasfemo.

Per quanto malizioso sia il mio ragionare, allora non riuscivo proprio a leggere "fighe". Mi ostinavo a interpretare la parola come "fish", trovando "fiche" troppo volgare e troppo assurda la sua presenza in una mostra raffinata. Non convinto delle mie intuizioni, mi recai alla reception per chiedere informazioni alle tipe. Con un certo imbarazzo.

"Ciao, avrei una cosa da chiedere. Una curiosità. Che vuol dire "fare le fiche"? No perché c'è una scultura di là, senza braccia, che in origine facevano le fiche. Sono in difficoltà, vorrei venire a capo del mistero".

La ragazza mi guardò arrossendo.
La donna sorrise, poi mi rispose.
"Non prenderci in giro. Si capisce lontano un chilometro che sei più sardo di noi. Sai benissimo cosa vuol dire fare le fiche".

"Non fatevi ingannare dal mio aspetto. Anche se piccolo e scuro, e con un cognome sardissimo, sfortunatamente non lo sono".
La donna era titubante.
Mostrai la carta d'identità.
A quel punto si convinse.

Mi spiegò che "fare le fiche è un tipico gestaccio sardo, l'equivalente del più comune dito medio alzato.
Mani strette a pugno, il pollice infilato fra indice e medio. La punta del dito opponibile vien fuori dalle altre due come una linguaccia".
"La scultura -continuò la donna- in origine, aveva le braccia incrociate, alzate e rivolte verso dio, con le mani che facevano, appunto, le fiche".

Mistero svelato.


Mi consegnò una cartolina raffigurante l'opera prima della censura.
"Un regalo".
Ringraziai e tornai nella stanza delle sculture.
Mi avvicinai alla Dolorante anima sarda.

Confrontai la cartolina con il pezzo reale.
Seppur doloroso e piegato dalla mestizia, lo sguardo cartaceo era meno furioso di quello della scultura in gesso.
Levare le braccia era stato come tarpare le ali a un uccello. Aveva perso quel tocco scandaloso necessario affinché qualcosa perda la sua valenza di semplice oggetto e diventi opera d'arte.
Eppure, incredibilmente, lo sguardo era diventato assassino e il suo astio verso Dio risultava accresciuto, centuplicato.


Uscii dalla mostra.
La tipa più anziana, prima che me ne andassi, aggiunse:
"Fu la moglie di Ciusa a convincere l'artista che amputare la Dolorante anima sarda era la scelta migliore".


"Le donne, fra loro, riescono ad odiarsi molto di più che fra maschio e femmina. E non si perdonano nulla. Possono dimenticarsene, lasciar perdere, preferire non badare all'offesa. Ma non si perdonano. Se fosse stato un amico a convincere Francesco a tagliar le braccia alla scultura, forse adesso avrebbe un sguardo rassegnato.
I maschi riescono a farsi perdonare dalle femmine quasi tutto (escluse azioni gravi), però, per riuscirci, bisogna essere di maschi un pò ruffiani e un pò figli di puttana". Pensai.

Alla fine, il genio di Ciusa ha avuto la meglio. Ed è questo che conta.

mercoledì 1 agosto 2012

una chiacchierata fra amici

Estratto di un botta e risposta virtuale (commenti da bacheca) con un amico reale. Aleksander Veliscek è Aleg, uno dei protagonisti del racconto regalo "Dramma nella notte degli insetti", racconto che potete trovare clikkando QUI.
Aleksander è un artista e, se la fortuna sarà dalla sua parte, sentiremo parlare di lui.


Aleksander Veliscek Come ti sei trovato col racconto autobiografico rispetto alla pura invenzione?


Matteo Corona Scrivere di cose accadute non è come inventare trame. La seconda è usare ricordi ed esperienze personali come pezzi di lego per comporre qualcosa di nuovo. La prima è invece una specie di ipnosi, esasperata e\o glorificata.


Aleksander Veliscek Quella serata (quella del racconto) meritava di essere scritta anche per la sua "assurdità", non solo come ricordo dei bei tempi trascorsi fra amici, a Venezia. Non credi?


Matteo Corona I tempi di Venezia li ricordo con rimpianti. Eravamo giovani, che è una condizione eccellente per essere liberi. Invece mi imprigionavo volontariamente dentro gabbie mentali che mi impedivano di dare di più. Tornando indietro, non rifarei molte cose, ma certamente seguirei Vido nella sua disavventura, com'è accaduto!


Aleksander Veliscek Non è che avevamo una scelta per gli amici si fa questo e tanto altro ..Vido ne sono convinto al posto nostro l'avrebbe fatto di sicuro..interessante il discorso delle gabbie invisibili ma non ho capito cosa faresti oggi diversamente?


Matteo Corona Mi farei meno paranoie da "senso del dovere". Passavo serate tristissime con una ragazza che non mi amava. Bastava uscire e raggiungevi in campo per ritrovare la vita. E avrei avuto molti più ricordi belli, ora. Il senso del dovere è una sostanza che gli esseri umani producono geneticamente, velenoso come i gas delle auto. Con gli anni scopri che non c'è nessun senso del dovere, solo rispetto e "senso del piacere". Purtroppo gli ostacoli che ci impediscono di rincorrerre i nostri sogni si presentano di continuo e, a volte, sono insormontabili.


Aleksander Veliscek Tipo in stile Hemingway vivo la vita al massimo e la racconto..però probabilmente Shakespeare non ha mai viaggiato eppure riesco ad immedesimarmi nei contesti che descrive...


Matteo Corona Mi lusinga ciò che intendi ma paragonarmi a Hemingway o Shakespeare è come mettere al confronto un carrello della spesa e una Ferrari.
Che sia inventato o accaduto, ogni creazione della mente si slaccia da ciò che è considerato reale: vive in una dimensione a parte.
Spendo il tempo da solo per trovare qualcosa che accomuna tutti.
Il linguaggio delle emozioni appartiene a ognuno di noi, ma è difficile da imparare e lo si studia con la solitudine.
L’ amicizia è qualcosa che ogni essere umano conosce.
É un filo virtuale fra due persone che fanno assieme qualcosa nella realtà.
Per quanto riguarda i ricordi, ricordo (appunto) una bellissima frase. Purtroppo ho dimenticato l’autore.
"Solo il primo ricordo è bello. Perchè ricorda l'evento reale. Gli altri (dello stesso evento), sono tristi, perchè sono solo il ricordo di un ricordo".
Mi vengono in mente i colori dei tubetti per la pittura: più ne mischi e più tendono a perdere brillantezza, a diventare grigi. Mentre i colori della luce, più li sommi, e più diventano luminosi, tendono al bianco, al massimo della luminosità.
L'essere umano è una creatura che somma cose: esperienze, ricordi, azioni, anni. Arricchimenti personali che allo stesso tempo lo invecchiano e appesantiscono. La vita tira verso il basso, verso il buio.
Spero sia come il flettersi prima di spiccare un grande salto verso l'alto. chissà!


Aleksander Veliscek Durante il racconto ti piace anche perderti nella descrizione della città. Per me venezia è soprattutto "immagine": luce-colore-forme. Credo sia difficile trovare le parole giuste per raccontarla.


Matteo Corona Scolpire è più facile che dipingere. Questo perchè quando scolpisci crei un oggetto tridimensionale immaginando o copiando una cosa tridimensionale. La trasposizione è diretta, come dall'italiano all'italiano. Quando invece dipingi, sei costretto a tradurre una forma tridimensionale in un supporto bidimensionale (la tela, un foglio). E’ la trasposizione fra due dimensioni diverse che rende difficile l’operazione.
Trovarsi a tradurre entità senza dimensione come i ricordi in particelle delicate e dalle combinazioni infinite come le parole, è per me molto difficile. Purtroppo non si hanno riferimenti per capire si sta facendo bene o no.
Un ritratto che non assomiglia al soggetto è facile da vedere.
Nel dubbio, meglio tenersi stretti di manica, essere molto critici verso se stessi. A volte si perdono belle idee per eccesso di durezza, ma meglio perdere una frase bella che metterne molte di brutte.


Aleksander Veliscek Confermo l'autocritica. Per quello molti artisti vanno in giro con quelle facce tristi... pensi di scrivere altri nuovi racconti sulla tua esperienza a Venezia o si conclude con la storia del insetto ?


Matteo Corona Verranno altri racconti veneziani perchè mi sono divertito a scrivere questo!


Aleksander Veliscek Gazie Teo.


Matteo Corona Grazie a te Aleg per la piacevole intervista improvvisata.

lunedì 11 giugno 2012

500 kg di Donne, per favore.


Leggevo sul Corriere della Sera, un mese fa, che altissime percentuali di donne in italia, oltre il 30%, vengono pagate meno degli uomini, non hanno potere decisionale per gli acquisti in famiglia e non fanno spese per se stesse. La loro disoccupazione supera di molto quella maschile.

Pochi giorni fa ho acceso la tv e ho visto miss Padania.
Questo programma riassume come i sistemi d'"informazione" attuali  stanno facendo di tutto per mostrare una donna sempre più oggetto e sempre meno essere vivente. La tv è ancora la regina delle nostre case, dal momento che condividiamo la sua compagnia fin dalla tenera età. Perciò essa è responsabile di buona parte dei nostri gusti, comportamenti ed educazione. L'immagine in movimento mescolata al suono invade il cervello in maniera estremamente impregnante.
La tv, si nota, nei così detti varietà, nei vari format che la maggior parte della gente guarda, sta copiando il mondo dell'hard proponendo nuove inquadrature sempre più spinte. Sugli schermi, si insegue un ideale pornografico quando si mostra la donna.

Perché?

Perché il mercato dell'hard è uno dei più forti del pianeta. Non conosce crisi. Messaggi subliminali (ormai molto espliciti) provenienti dallo schermo della regina di (quasi) ogni casa, non possono che fare "bene" a quest'industria, che fattura ogni anno miliardi di euro solo nel nostro paese. Entrare nella nostra quotidianità, ammaliarci con corpi da favola ammiccanti è il modo migliore per spingerci a sentire quel tipo di immaginario familiare, parte di noi. Cercarlo poi nelle varie forme che questo mondo assume e mette a disposizione, dai film, agli spettacoli, all'oggettistica, diviene una conseguenza quasi naturale.



Scopro sulla rete un video agghiacciante: The Shocking Thruth, girato da una regista svedese (Alexa Wolf) nel 2000. La verità non solo è scioccante ma terribile. Scopri che tutte (o quasi) le porno attrici hanno subito violenza carnale in giovane età.  Non voglio fare psicologia spicciola, il dolore delle persone merita rispetto e silenzio. Ma questo dato non può che far trapelare l'inquietante sospetto che queste ragazze intraprendano carriere hard non per volontà, come credevo, ma perché, forse, il trauma della violenza le porta in qualche modo a voler rivivere quei dolorosi momenti. Per cercare di liberarsene una volta per tutte. Per capire cosa è successo loro, trovare risposte a una  barbarie che non ha nessuna risposta logica. E il mondo dell'hard ne approfitta, rimpolpando le proprie fila. Nel disperato tentativo di affrontare i demoni con una terapia d'urto devastante, queste donne finiscono inevitabilmente per perdersi in un mondo che ricorda troppo da vicino le squallide  figure che hanno abusato di loro. Venire a sapere quante pornoattrici (e pornoattori) si suicidano in giovane età, è un pugno nello stomaco che lascia senza parole. Non voglio fare il bacchettone, il moralista. Anche io ho guardato produzioni del genere. Eppure, da quando ho scoperto questa Shocking Thruth, non riesco a pensare alle ragazze del porno se non come vittime di qualcosa di malato. E non a professioniste che hanno deciso in libertà. Perciò non riesco più a guardare film hard.


La donna diviene un oggetto.


La donna nasconde le violenze che subisce nel 90% dei casi.
La donna nasconde il tempo che la invecchia col lifting.
In entrambi i casi è mossa dallo stesso principio: nascondere il suo passato con vergogna.

Perché?


Perché nascondendo le rughe come i ricordi, in realtà nasconde se stessa. Nasconde l'essere umano che è in lei, per adeguarsi a divenire ciò che vuole il mercato. Un oggetto buono a far raggranellare quattrini alle industrie.

Questa brutale mercificazione non è circoscritta all'universo femminile. Ma coinvolge tutti tutti noi. L'"oggetto donna" viene venduto perché c'è domanda, perché esiste qualcuno che la "compra". Orrendamente triste, ma vero.
La conclusione è che stiamo diventando tutti semplici fruitori, macchine che acquistano cose.
Non importa se prede e o vittime, tutti siamo stati fagocitati dal supermercato globale che sta cancellando la nostra umanità per farci diventare consumatori.

E a forza di consumare, si scava una voragine da cui è impossibile risalire.

La perdita dell'identità della donna dilaga a tutte le persone del mondo.
L'essere femminile, in questa silenziosa emoraggia di valori, si fa martire. E come martire diventa mito, il simbolo di un'ingiustizia che va denunciata e combattuta.



sabato 9 giugno 2012

4.5 Richter 4:5 AM

Ore 3.10
Arrivo a casa.
La cosa più piatta dei piedi da hobbit che tengo è l'encefalogramma.
Stanco, mangiato come un maiale, bella serata in compagnia di amici che non vedevo da tempo.
La cosa peggiore per chi si vuole buttare a letto è sapere che fai troppo schifo per piazzarti sotto le lenzuola perciò fra te e il sonno c'è un noioso percorso che va dalla doccia al lavaggio denti al mettersi le mutande.
Per chi ha sonno questo percorso diventa una specie di cammino Santiago de Compostela.

Ore 3.50
Mi decido. Poco da tentennare. Prima inizio, prima vado a dormire. So cosa provava Messner mentre, un passo ogni quarto d'ora, mirava alla cima dell'Everest.
Ciondolo uguale verso il bagno.
Penso di essermi addormentato sotto l'acqua perché non ho ricordi precisi, però alla fine profumavo sapone. Il pilota automatico ha fatto il suo dovere.

Ore 4.05
Sto per spiaggiarmi nella beatitudine sotto coperta. Mi sento come dentro un barattolo di marmellata. Se non dormo mi si scioglieranno gli occhi, poi colerà fuori quel che rimane del cervello.

Arriva.

All'inizio sembra un'auto con la marmitta che sta per staccarsi, mentre parcheggia di sotto.
Poi un camion con le ruote quadrate.
Poi un aereo di Aviano che viene a parcheggiarsi sulla portaerei che hanno costruito al posto del tetto dell'ex scuola di Casso. (Per sposarsi bene con il resto del paesaggio...).

Infine mi rendo conto che può essere solo uno scossone. Bello forte.
Durato abbastanza da convincermi ad aprire la finestra. Ho la fortuna di avere il pavimento esterno a un metro, in caso di bisogno non serve che mi diletti a imitare un Superman dei poveri. Non Volo (messaggio sibliminale). ;)

Poi smette.


Scompare come scompare il sonno.

Maledizione!

Il cane dorme pancia in su. Il sesto senso dei piccoli mammiferi dev'essere diverso da quel che ci si immagina. Forse fanno casino solo in caso di reale pericolo. Anche i gatti dormono. Dormono tutti.
Che invidia.
I vecchi ertani non sono usciti per strada. Forse la scossa del '63, che rulla ancora nei loro ricordi, ha scardinato anche frammenti di DNA. Si sono perciò modificati. Di questa scossetta se ne sono fatti un baffo.


Il mattino seguente le redazioni dei giornali locali è si sono sparate REDBULL per endovena. Non c'è altra spiegazione al loro fervore ipereccitato.
Si parla solo della scossa. La notizia è troppo inconsistente per meritare così tanto clamore. Ma alle redazioni questo non importa. Niente danni o feriti, per fortuna. La scossa è stata forte ma non così forte.

Alcuni mesi fa rimasi a parlare ore con una signora che lavora in una baita isolata dal resto del mondo, in compagnia solo delle sue mucche da latte. Soffre di solitudine cronica e, moderna sirena, quando incontra una persona (che il più delle volte si reca da lei per acquistare i prodotti di latte che produce), l'arpiona e non la molla più.
I capi redazione dei giornali di qui, stamane, mi hanno dato quest'impressione. Sempre lontani dal clamore, soffrono di solitudine per notizione. E così ecco che adesso ne hanno una che, pur non avendo la portata di altre più gravi, fa comunque "notizia". E non la mollano più.

Io intanto ho spostato il geranio.

E ho sonno.


venerdì 1 giugno 2012

Terremoto Emilia:la gente mormora e i media tacciono

Riporto la testimonianza di un'amica, Alessia, che vive a Piacenza. Mi ha scritto ieri sulla bacheca di facebook dopo averle chiesto un resoconto in diretta:

"Matte, qui a Piacenza le scosse si sono avvertite tremendamente bene purtroppo. La paura è stata tanta, hanno evacuato scuole, tribunale e vari uffici del centro storico. Grossi danni per fortuna non ce ne sono stati, a parte qualche crollo di cascine o chiese in provincia. L'unica cosa grave è stato il crollo di parte di un caseificio a Castelvetro (paese qui in provincia), in cui due operai sono rimasti feriti, uno in modo grave. Cmq da queste parti non si parla altro delle trivellazioni per l'estrazione di idrocarburi come possibile causa del dissesto geologico e dei conseguenti terremoti! Tutti lo sanno, ma i media non ne parlano: è una vergogna!!! All'inizio dell'anno il Ministero e la Regione Emilia Romagna hanno dato l'ok per le perforazioni del terreno, in cui vengono pompati liquidi ad alta pressione, per l'estrazione di idrocarburi. E le zone delle perforazioni sono esattamente quelle dell'epicentro!!! (Finale Emilia, Medolla, Mirandola, ecc.) Ora mi chiedo: sono solo coincidenze??? O queste pratiche, VIETATE IN MOLTI ALTRI STATI PROPRIO PER ELEVATO RISCHIO SISMICO, possono essere la causa del dissesto geologico delle faglie??? (questo spiegherebbe anche il fenomeno della fuoriuscita di liquidi e fanghiglia dal terreno in molte zone terremotate!) Ecco il Decreto Ministeriale...se leggi alla fine c'è l'elenco dei paesi in cui si eseguono le perforazioni...ED E' UNA COINCIDENZA DAVVERO STRANA!!! (questi giacimenti per l'estrazione di idrocarburi sono per la maggior parte in pianura padana, ma anche in Abruzzo e Basilicata!)"



Per la prima volta vengo a conoscenza di una pratica di perforazione della crosta terrestre "fracking", che potrebbe causare rischi sismici. Ne ero all'oscuro.
Vuoi sapere cos'è? Clikka qui.
Non posso dire se sia vero oppure no, però dalle testimonianze fin'ora raccolte, il tema in Emilia fa discutere.
Ecco cosa scrive Rosanna. Piacentina anche lei:


"Sono di Piacenza anch'io e confermo tutto quello che ha scritto Alessia;del fracking se ne parlava oggi a scuola con i colleghi. I pareri sono discordanti, ma io rifletto su una cosa: per anni ci hanno raccontato che la Pianura Padana, in quanto pianura alluvionale è a rischio sismico ridotto e finora in effetti grossi eventi sismici non ne abbiamo subiti. I terremoti si sono verificati spesso lungo la dorsale appenninica; le scosse che stiamo avvertendo dal 25 gennaio si sono verificate con epicentri in pianura e questa è un'anomalia che potrebbe essere spiegata proprio con altre cause come quelle riportate da Alessia. Non dimentichiamo anche che Piacenza si trova a 15 km da una centrale nucleare ( Caorso), dismessa è vero, ma con dei depositi di scorie in zona. Nessuno parla nemmeno di questo particolare, ma c'è poco da stare tranquilli".



Ho letto molti quotidiani questi giorni, ma da nessuna parte si legge di questi timori che ha la gente. 
Perchè?
Forse vale la pena analizzare anche questo aspetto, oltre che la fragilità strutturale dei capannoni.


Facebook si fa portavoce di dettagli che i quotidiani e altri mezzi d'informazione filtrano, o ignorano. Sarebbe bello raccogliere altre testimonianze delle persone che abitano le zone colpite dal sisma. E capire quanto esteso è il timore per questo tipo di interventi sul terreno.


Se vuoi approfondire.

giovedì 31 maggio 2012

Omaggio al "Vecchio".

Estate 2008

Mondadori mi contattò per realizzare la copertina di "Storia di Neve".
Ci mettemmo faticosamente d'accordo sul soggetto.
Doveva essere una bimba circondata da alberi artiglio e bufera di neve.
Il giorno seguente queste trattative mi telefonò una loro collaboratrice e mescolò di nuovo le carte in tavola.
"Dovresti provare a fare un volto". Disse.
Cercai di contattare lo staff, per capire meglio.
Inutile, era agosto, e tutti in ferie. Anche la ragazza della telefonata era irrintracciabile.
Che fare?
Decisi per il viso.
Lavorai per tutto il mese.
Ottenni un risultato che reputavo sufficiente.
Entusiasta, consegnai il dipinto. Acrilico su tavola.
La risposta raggelò.
"Non è ciò che ti avevamo chiesto"
Spiegai com'erano andate le cose e mi scusai.
Si scusarono anche loro.
Mancavano due giorni per chiudere i lavori sul libro. andava mandato in stampa. Non si accettavano ritardi.
Non c'era più tempo per fare niente, solo sistemare il bozzetto degli alberi artiglio e la bambina.
Lo feci con poche energie, le avevo spese nel mese di agosto lavorando a tutta birra.


Estate 2010

Stavo lavorando all'embrione di quello che poi sarebbe diventato "Nelle mani dell'uomo corvo".
Il vecchio, a quel tempo, mi faceva da pseudo editor.
Gli sottoponevo delle pagine e lui mi dava alcune dritte.
Vere e proprie lezioni di scrittura, di precisione, di sintesi.
Riusciva darmi le dritte giuste senza andare ad intaccare il mio modo di comporre la storia, fin da subito lontanissimo dal suo stile.
Per il tempo e le risorse che mi ha dedicato in quel periodo, decisi che meritava un omaggio.
L'uomo corvo avrebbe portato come primo libro a Vanessa proprio "Storia di Neve".
E così è andata.
Volli prendermi una piccola "rivincita".
Nell'universo immaginario di Vanessa e dell'uomo corvo, la Mondadori stampa "Storia di neve" con la copertina iniziale.
Un omaggio fra le righe, che alcuni hanno notato e altri no.
Ho voluto fare luce sul "mistero"!




Fino a poco tempo fa preferivo la copertina del viso, ma i boss scelsero l'altra idea. A distanza di anni, penso abbiano fatto bene. Andrebbe solo aggiustata e arricchita. Mi piacerebbe farlo. Chissà, magari per una prossima edizione.


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venerdì 25 maggio 2012

La morte corre lungo le strade di Erto



La passione brucia a velocità stellare.
Non intendo passioni riversate verso persone desiderate, amate, ma l'urgenza irrefrenabile che spinge a rischiare più del dovuto. Per raggiungere sogni o intraprendere attività, vitali quanto l’aria che respiri.
Passioni così possono anche bruciare la vita. 
A coloro che cadono inseguendo sogni va totale rispetto, ammirazione e deferenza.
Ma se questo fuoco mettesse a rischio la vita di chi non condivide lo stesso ardore?
Fatalità?
Certo.
Quella sempre.
Ma.

Venerdì scorso. Percorro con la mia Panda il tratto che da Erto porta a Casso. Sole e cielo tutto azzurro. Infilo il curvone prima del distributore in costruzione. Incorcio cugino: si allena correndo a piedi. “Clacsono” per salutarlo. Alza la mano e sorride. Poco avanti, ragazze in bicicletta. Tutti bordo strada.
Supero il bivio che porta a Casso.
Il cervello non fa in tempo a reagire. Il cuore si ferma un secondo.
Schizza un disco nero davanti agli occhi.
Si inclina. Traballa.
Mi sfiora.
Poi esplode tuono di bomba.
I palpiti riprendono. Respiro.
Sterzo. Rido in silenzio. Se fosse andata male, avrei sterzato da morto.

Quel disco nero era uno dei tanti motociclisti che cavalcano le nostre strade come circuiti di gara.
Iniziata una traiettoria da competizione, la mia presenza lo ha costretto a correggerla come poteva, vacillando pericolosamente per evitare l’impatto. Schizzava a velocità folle su una pallottola due ruote. Di svariati quintali.
Abbiamo rischiato grosso entrambi.
Il mio pensiero corre al cugino. Alle ragazze in bici. A bordo strada.
Telefono al cugino. Tutto bene.

Ieri, episodio simile. Questa volta i motociclisti erano due. Si superavano a vicenda. La statale che divide Erto trasformata nel circuito di Monza. Poco più avanti, a un braccio dai bolidi, madre spingeva il suo bimbo in carrozzina.

Qualsiasi residente di Longarone, Erto, Casso, Cimolais, Claut e di tutti i paesi prima e dopo la Valcellina possono raccontarvene a decine di faccende così. Pare che questo nostro tratto stradale sia una specie di "circuito naturale". I centauri del nordest lo considerano una vera bellezza per la loro voglia di velocità e staccate limite.

La verità è che ogni venerdì, sabato e domenica di bel tempo, dall'inizio dei primi soli primaverili all'arrivo della stagione fredda, percorrere la SS251 è pericoloso. Pericoloso davvero. E la gente ha paura.

Ogni anno muoiono in media due motociclisti nel tratto Erto-Barcis. Quest'anno è già accaduto. Pochi mesi fa. Corrono, curvano, la ghiaia tradisce l’aderenza, escono di strada, impattano contro qualcosa e perdono la vita. Altri incidenti simili a decine, che per fortuna risultano in feriti non gravi.

I centauri da gara li riconosci. Non indossano jeans, giubbotto di pelle e casco che ti permette di guardarli in faccia. Le loro moto non hanno passo da gita. Sono avvolti in tute da prestazione, protetti da caschi a visiera oscurata. Perdono l’umanità per fondersi con la loro bestia motorizzata, diventando una perfetta macchina di velocità.
Vengono apposta per spingersi al limite.

Ho grande rispetto per la vita, per chi lascia questo mondo e per la sofferenza insopportabile della mancanza.
Però, non riesco a smettere di pensare:
"E, se nel mezzo di quella curva fatale, proprio nel punto in cui il centauro rovinava contro il guard rail, stava mio cugino, le ragazze in bici o la madre col passeggino?"

Me lo chiedo e non so rispondermi.

Bisogna attendersi la classica prassi all'italiana (aspettare che muoia un ignaro passante bordo strada) perché chi di dovere prenda provvedimenti?


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giovedì 17 maggio 2012

L'incredibile Dottor Zilbershmidt.

In un mondo in cui i grandi, i colossi, operano il male sui piccoli, i piccoli resistono e fanno del bene.
Tutti i piccoli se fanno il bene, diventano colossali, enormi.
Il mondo è fatto di miliardi di questi giganti piccini, uomini e donne capaci di azioni generose e belle.

Uno di questi ho avuto la fortuna di conoscerlo personalmente: L'incredibile Dottor Shalom Zilbershmidt.
Israeliano di nascita, ha sempre cercato di migliorare la qualità della vita delle persone. Intraprende la carriera di odontotecnico laureandosi a Padova e aprendo poi il suo studio in Gemona del Friuli. Si distingue dagli arricchiti fine a se stessi per una qualità in più. Invece di comprare  BMW, porsche, case al mare e in montagna, o farsi rubare soldi dalla speculazione bancaria, Shalom ha deciso di usare il suo potenziale per qualcosa di concreto, per aiutare chi davvero ha  bisogno di una mano. Realizzare nobili progetti umanitari necessita fondi da investire. La generosità ha prezzo, purtroppo.
Trascurando il geniale bite dentale che ha progettato grazie al quale mette a posto un sacco di magagne fisiche (motivo per il quale mi sono ricolto a lui), parliamo del suo MediT.
Chiacchierando con lui durante le varie sedute, scopro che ha investito enormi risorse per realizzare il suo sogno: una sala operatoria portatile da utilizzare ovunque, in zone di guerra mediorientali o sulla SS51 di Belluno. Il vantaggio di intervenire sul posto, in termini di tempo, è determinante. In situazioni di emergenza, la tempestività salva la vita. MediT permette di iniziare a operare immediatamente, senza dover trasportare i feriti al più vicino ospedale.
Immaginatela come una tenda da campeggio, delle dimensioni di una piccola stanza. E' portatile perché, smontatala, la si trasporta in 4 sacche da 20 chili l'una, strumentazioni comprese. Una persona addestrata, lo monta e smonta in 5 minuti.
Il problema principale dei chirurghi è la sterilizzazione dell'ambiente. Un luogo non perfettamente asettico rischia di essere fatale per pazienti sottoposti a operazioni chirurgiche. Le infezioni potrebbero condurli alla morte.
L'ingegno di Shalom lo ha portato a montare all'interno della tenda MediT tutta una serie di ventole che comprimono l'aria verso il basso, schiacciando a terra tutti i batteri, i microorganismi e le impurità. Risultato? L'ambiente che ne risulta è 1000 volte più serializzato delle sale operatorie nostrane!
Quando tagli carne umana, non deve esserci troppo caldo. temperature che oscillano dai 15 ai 20 gradi massimo vanno benne. Shalom dota Medit di condizionatore, così da ottenere la temperatura desiderata in ogni luogo della terra. Inoltre ricopre MediT di telo termico, capace di mantenere più a lungo la temperatura senza abusare del condizionatore. La tenda-sala operatoria viene costruita e consegnata con tutte le strumentazioni necessarie. MediT utilizza apparecchiature a basso consumo e funziona collegandola semplicemente alla batteria di un qualsiasi auto veicolo.
La purezza dell'ambiente che offre e la sua sicurezza sono state testate e certificate dalle maggiori autorità nazionali Europee di sanità (Testato e certificato conforme ISO 6 secondo lo standard NEBB). 

Shalom Zilbershmidt ha combattuto contro mille difficoltà per realizzare il suo progetto. All'inizio aveva il supporto solo di alcuni amici che credevano nella cosa. Poi, quando ha preso forma  e si capiva che era fattibile, è nato un vero e proprio staff di ingegneri e professionisti. Shalom si è appoggiato ad autorità militari israeliane (i materiali che lo compongono sono costituiti da tecnologia militare e non sono in commercio) perché il nostro paese non credeva e non voleva investire su MediT. Una volta costruito,  testato e certificato Shalom aveva contattato la protezione civile Italiana, proponendogli di usare la tenda-sala operatoria gratuitamente. Ancora una volta l'Italia ha risposto negativamente.

Ora MediT è operativo.
Medici Senza Frontiere, ad aprile, ha acquistato alcuni MediT per far fronte a un attacco terroristico che ha ucciso 282 persone in Congo. La sala operatoria portatile si è fatta valere, salvando centinaia di vite.
Se le cose andranno come devono, MediT diventerà uno standard e potrebbe rivoluzionare il modo di eseguire operazioni chirurgiche nel mondo, rendendo di fatto obsoleti tutti gli interventi d'emergenza eseguiti negli ospedali.

I ricavi di MediT verranno utilizzati per fare del bene, per allargare il bacino d'utenza e renderlo disponibile a tutti i paesi interessati. Speriamo di vederlo presto anche nel nostro paese.

Felice di aver testimoniato l'incredibile vicenda di un uomo dedito a spargere bene.
E, nel mondo, sono in tanti.
Questa è la storia di un progetto di grandi proporzioni, ma, tutti, nel piccolo, ogni giorno, possiamo fare del bene e trasformarci in giganti. Non sottovalutate il potere dirompente di un minuscolo gesto d'affetto e solidarietà. Ne basta uno al giorno.

Per saperne di più:

Sito MediT
Caratteristiche MediT

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venerdì 11 maggio 2012

Nella fossa del sague

"Giù nella fossa del dissanguamento dicono che l'odore del sangue ti rende aggressivo. Ed è vero. Se quel maiale ti da un calcio, tu gli rendi la pariglia. Stai già comunque per ammazzarlo, ma non basta. Deve soffrire, ci vai giù pesante. Insisti, gli fai scoppiare la trachea, lo fai annegare nel suo stesso sangue. Gli spacchi il naso. Un maiale vivo correva in circolo nella fossa. Mi guardava, toccava a me sgozzarlo e ho preso il mio coltello e - zac - gli ho cavato un occhio mentre lui se ne stava li seduto. E il maiale si è messo a strillare. Una volta ho preso il mio coltello - è affilatissimo - e ho tagliato via la punta del naso a un maiale, come fosse un pezzo di mortadella. Per qualche minuto è impazzito. Poi si è seduto con un'aria un po' stupida. Allora ho preso una manciata di acqua e sale e gliel'ho schiacciata nel naso. A quel punto il maiale ha dato proprio di matto, premeva il naso dappertutto. Avevo ancora una manciata di sale in mano - indossavo un guanto di gomma -e gliel'ho ficcato su per il culo. Quel povero maiale non sapeva se cagare o accecarsi. Non ero l'unico a fare roba del genere. Uno con cui lavoravo insegue i maiali facendoli finire nella vasca di scottatura (vasche di acqua bollente). E tutti - autisti, incatenatori, inservienti - usano tubi di piombo sui maiali. Lo sanno tutti, tutto quanto".

Una delle tante testimonianze presenti nel libro di Jonathan Safram Foer, "Se niente importa, perchè mangiamo animali?"

Dove esiste il commercio della carne su larga scala (In USA come in Europa, in Francia come in Italia) esiste l'allevamento intensivo. Dove esiste l'allevamento intensivo il genere di trattamento descritto dalla testimonianza riportata qui sopra è comune, perfino in presenza di ispettori addetti al controllo delle attività interne il macello. Su miliardi e miliardi di animali allevati nel nostro paese (dai maiali alle galline alle mucche) anche se fosse l'1% dei casi, rappresenterebbe una cifra enorme. Ho scritto email ad una catena di grandi distributori che si vanta di produrre carne di ottima qualità perché ha cura degli animali per avere l'elenco dei suoi allevamenti e macelli. Non mi ha mai risposto. Ed è normale che non rispondano. Visitare i moderni allevamenti e macelli è impossibile (Report non è riuscito a realizzare nessun filmato interno) perché recintati e guardati a vista. Non te lo permettono perché accadono cose indescrivibili.
Nel nord Italia ormai esiste quasi solo l'allevamento intensivo, l'Istat conferma una drastica diminuzione dei piccoli allevamenti familiari e la concentrazione di pochi grandi centri. Ecco il rapporto Istat: 
Meno aziende, ma di dimensioni più ampie
La dimensione media aziendale è passata, in un decennio, da 5,5 ettari di SAU (superficie agricola utilizzata) per azienda a 7,9 ettari (+44,4%). Ciò è conseguenza di una forte contrazione del numero di aziende agricole e zootecniche attive (-32,2%), cui ha fatto riscontro una diminuzione della superficie coltivata assai più contenuta (-2,3%). L’effetto delle politiche comunitarie e dell’andamento dei mercati ha determinato l’uscita di piccole aziende dal settore, favorendo la concentrazione dell’attività agricola e zootecnica in unità di maggiori dimensioni e avvicinando il nostro Paese alla struttura aziendale media europea.
Anche la dimensione media aziendale in termini di SAT aumenta rispetto a quanto rilevato dal Censimento del 2000, passando da 7,8 a 10,6 ettari. Tuttavia, in valore assoluto, la SAT complessiva diminuisce (-8%) assai più della SAU (-2,3%), segnale di un processo di ricomposizione fondiaria che ha trasferito alle aziende agricole attive nel 2010 prevalentemente le superfici agricole utilizzate dalle aziende cessate e, in misura minore, i terreni investiti a boschi annessi alle aziende o non utilizzati.
Oltre la metà della SAU totale (54,1%) è coltivata da grandi aziende con almeno 30 ettari di SAU (5,2% delle aziende italiane), mentre nel 2000 quelle al di sopra di questa soglia dimensionale coltivavano il 46,9% della SAU ed erano il 3% del totale.")

Se la sofferenza degli animali non ti tocca, sappi che il cibo prodotto dagli allevamenti intensivi è veleno. Che le pratiche dell'allevamento intensivo sono la causa principale del surriscaldamento globale, dell'inquinamento dell'atmosfera e delle falde acquifere. In più caricano le persone addette alla macellazione di tensioni psicologiche e gravi problemi a gestire la propria aggressività.

Ora che sai la verità, come ti poni verso il mangiare la carne proveniente dall'industria zootecnica moderna?


Se vuoi approfondire



domenica 6 maggio 2012

Realtà che stridono

La repubblica, sabato 5 maggio 2012. Pag. 25.
Un enorme articolo pubblicizza una catena di supermercati-ristoranti che dovrebbero vendere carne alta qualità.
Non serve imbattersi in articoli così orrendamente pubblicitari sui quotidiani, anche la rete ne è piena. False promesse che vogliono dipingere le multinazionali come spargitrici di benessere. Ma queste realtà, sono due realtà che stridono.


Il binomio alta qualità e giganti della distribuzione è ridicolo. Come dire: è una tartaruga, ma corre.

Se hai il potere di creare negozi enormi, devi servire migliaia di persone. Per accontentare così tante persone devi spendere tempo, parecchio tempo. E soldi. Gli animali allevati in maniera tradizionale ci mettono mesi e mesi per raggiungere il peso necessario a essere buoni alla macellazione. Nutrirli con cibi naturali e e curarli con medicine omeopatiche aumenta il costo, di tempo e denaro. Non poterli stipare a centinaia di migliaia in miserabili capannoni significa allevarne un numero incredibilmente basso se comparato alle necessità del mercato attuale. Ciò va a influire sul numero di carne disponibile, che si riduce drasticamente. Se hai poca carne a disposizione, non apri un centro commerciale.
"Riduzione della catena produttiva -ci dicono- per questo abbattiamo i prezzi. Essendo di qualità, dovrebbe costare di più, ma non costa così tanto perché l'allevamento è qui vicino, a pochi km dal ristorante o supermercato". Ci dovrebbero essere centinaia e centinaia di pascoli meravigliosi a pochi km di distanza dal supermercato-ristorante per poter sfamare tanta gente e dare veridicità a questa affermazione. Secondo le tesi degli imprenditori faraoni filantropi, l'intera pianura padana dovrebbe essere una distesa felice di verdi praterie brulicanti animali trattati con tutte le sagge accortezze di un tempo. Ma voi, le avete mai viste queste? Io no. Si vedono per la maggior parte capannoni industriali. 
Per non parlare del denaro. 
La carne prodotta in maniera realmente sana non ha prezzi concorrenziali o sufficientemente concorrenziali. Costa. Costa molto, molto di più. Diciamo che un chilo di carne dovrebbe sempre costare più di 12 euro. Nei supermercati la carne te la tirano dietro. In questi luoghi descritti come oasi di qualità costa poco più che nei supermercati. Ancora non basta per convincere.

Chi alleva in maniera sana non riesce a darsi alla grande distribuzione, aprire ristoranti o supermercati. Per sua fisiologia naturale, produrre carne davvero di qualità abbisogna di molto tempo e denaro. Perciò, chi ha il coraggio e la forza ancora di farlo, rimane piccolo. Le risorse necessarie per essere fatto bene, sono enormi. In larga scala diventerebbero insostenibili se non con accorgimenti da zootecnica moderna.

Tanti (ma purtroppo pochi ancora) piccoli centri sono indizio positivo.
Pochi centri su larga scala puzzano di losco.

Le cooperative agricole vere, ormai poche, dove acquistare la carne, somigliano circa a questi luoghi:




non a questi...





Ma torniamo alla quantità di bestiame allevato. Abbiamo detto che deve essere molto, per forza: deve servire molta gente in poco tempo. Per farlo sono state selezionate razze che in pochi giorni acquistano la massa di un animale adulto normale. Tutto questo a scapito della loro salute, della loro capacità di difendersi dalle malattie. Il rovescio della medaglia. Tutto questo bestiame indebolito geneticamente, non essendoci le praterie mastodontiche necessarie a ospitarlo, deve per forza essere stipato. E quando si comprimono centinaia di migliaia di animali deboli in spazi ridottissimi, le malattie circolano. Circolano eccome. 
Ma i filantropi imprenditori ci dicono che i loro animali non vengono allevati con antibiotici (i maggiori organi di salute pubblica nazionali non sanno dire quanti antibiotici vengono somministrati quotidianamente agli animali perché non c'è modo di controllare queste operazioni. Ma il padrone delle multinazionali ci rassicura, ne è certo. Ma come fa lui a confermarlo quando non lo può sostenere neppure l'istituto superiore di sanità- dipartimento di veterinaria? Se neppure gli allevatori ormai sanno cosa danno da mangiare agli animali perché eseguono solo gli ordini imposti loro dal socidante?). A questo punto speriamo che gli antibiotici vengano davvero utilizzati, a mo' di garanzia, altrimenti quella carne si trasformerebbe in puro veleno!

Chi ha la fortuna di vivere in zone rurali si affidi a conoscenti che per passione allevano galline o maiali all'"antica". Chi può si rivolga a cooperative come le seguenti:
http://www.prober.it/  (Sono ottimi punti di appoggio anche per iniziare a chiedere dove trovare carne davvero di qualità).

Perché su Repubblica non si parla a piena pagina anche di queste realtà, o di mio zio che alleva galline la cui qualità di carne sono certo è fra le migliori del nostro paese? Forse perché non abbiamo i soldi per pagare il giornale e perché il giornale non è interessato se non fa notizia.



Come sempre in questo spazio si parla poco di concretezza e molto di sogni e utopie. Ma i sogni di oggi sono stati la realtà del domani in molte epoche e civiltà. Sogno supermercati e ristoranti vuoti di carne, perché di quella robaccia non se ne vende più un grammo. E poi sogno nascere piccoli supermercati che pagano gli allevatori tradizionali, ormai gli unici "autorizzati" dalle nostre abitudini a vendere quel tipo di cibo. Così, solo così, si andrà a valorizzare davvero la qualità. Il business su larga scala alimenta solo la corsa dei mercati a crescere, crescere e crescere. E le mucche, i polli e i maiali gonfiati come palloni sanno cosa significa crescere a dismisura.

Alcune delle informazioni le ho pescate QUI. Un'inchiesta che vale la pena vedere. Per smascherare le bugie, direi che la formula magica più facile è composta da un pizzico di informazione e quattro spanne di buon senso.


Non sono gli imprenditori che ci salveranno. Ma noi stessi. Con le nostre scelte personali, mirate e quotidiane.
Il mercato sei tu, io e tutti gli altri. Non le leggi della crescita dell'economista di turno.



La verità è proporzionale a quanta gente ci crede. I faraoni lo sanno.

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martedì 1 maggio 2012

Diario di un timido: due performance non proprio da professionista

Il boss di radio onde furlane non sa ciò che scrivo qui adesso.
In effetti, per vergogna, non l'ho mai messo per iscritto.
Alcuni mesi dopo la pubblicazione, tra le cose che mi capitarono, accettai una mini intervista radiofonica. 
Loro ti chiamano tu parli al telefono. Semplice.
Semplice pensavo. Venivo da disastrose esperienze pubbliche, ero convinto che parlare al telefono da casa mia a una radio rappresentasse poco più di una bazzecola.

Alcuni giorni prima mi ero recato in un paese del Friuli, non ricordo il nome ma so che era di domenica e che avrei interrotto con un'auto presentazione un concerto jazz che si esibiva in un'ampia sala al primo piano di una bellissima biblioteca.
"Non c'è mai stata tanta affluenza" aveva detto l'ideatore della manifestazione. Ci tengo a precisare che le quasi duecento persone sarebbero venute comunque, il mio era solo un siparietto che divideva il vero evento, e cioè il concerto. Se da una parte gioivo per la riuscita della cosa, dall'altra mi sentivo morire. Causa: timidezza cronica. Prima di allora c'era sempre stato un "moderatore" a dirigere la chiacchierata, un tavolo-barricata fra me e la gente dietro cui arroccarmi e trarre un poco di sollievo e la formula magica che recitavo sempre alla "mia" spalla del momento: "ehi, se vedi che mi impapino dammi una mano". Un miscuglio di cose che mi infondeva sicurezza. Invece quel giorno avrei dovuto affrontare le persone in piedi, senza tavolo e senza spalla. Niente soccorso in caso di impapinamento. 
Bum. Il concerto parte. Pronti via. le mie palpitazioni erano da maratoneta in fuga.
Mi sentivo fuori luogo. Mi pareva un delitto interrompere un così bel fluire di motivi jazz con il gracchio insicuro della mia figura minuta. Il disagio cresceva sempre di più man mano che i minuti passavano.
Bum. Il concerto è fermo. Vengo chiamato a presenziare. L'attacco c'era, avrei potuto cavalcarlo: Le musiche jazz di prima avevano come tema comune difficili rapporti tra uomo e donna (L'uomo corvo e Vanessa). Poche ore prima, guidando solo in auto, i miei discorsi fluivano lisci come l'olio. Tutto era chiaro in me.
Adesso avevo ingoiato un porcospino. Guardavo la folla. La gente mi guardava.
Spiaccicai un mezzo discorso in partenza. Poi la cosa più comprensibile che dissi fu "lgddldk".
Attacco di panico.
Confusione.
Rossore.
Mancanza di fiato.
Guardai la folla.
"Chiedo scusa".
Partì un caloroso applauso di incoraggiamento. Fu acqua per chi si è perso nel deserto. Fu respirare. Parlai per 5 minuti, dissi quello che mi riuscì in maniera abbastanza pulita. Non cercai di  piazzare le teorie e i discorsi più arditi, mi si sarebbe di nuovo aggrovigliata la lingua. Mi limitai alle frasi e concetti più semplici che mi riusciva.
Finii, e il concerto ripartì.
Avevo addosso una sensazione di sconfitta. Come quando stai per dare matto e per una svista ti mangiano la regina.
Le melodie New Orleans mi fecero dimenticare un po' la pessima performance personale.
Alla fine diverse persone mi dissero:"è bello vedere emozione reale". Ne fui contento e quelle parole ancora mi consolano.

Ricordo quel giorno come uno di quelli più formativi.
"Al massimo mi impapino, balbetto e poi ricomincio" dicevo fra me e me. "Ormai ho superato tutti gli ostacoli". Ne ero sicuro.
Ne ero sicuro anche quel mattino alla radio. Ma di li a poco mi sarei accorto che ci poteva essere di "peggio".

Il boss di radio onde furlane ha una gran voce. Non so se è professionista che ha studiato, sicuramente ha si è allenato per anni . Inoltre la natura lo ha dotato di un timbro felice e suadente, forte, energico che è un piacere ascoltare. Sentire la sua voce in radio e poi la mia, penso sia come guardare la silouette di una elegantissima professoressa e poi spaccarsi i denti serrandoli a difesa del gesso che inchioda sulla lavagna.
Pensavo così mentre lo sentivo annunciare la mia presenza in diretta.
Le palpitazioni cominciarono a salire e a ostruire l'esofago. Il respiro iniziò a mancare.
Toccava parlare a me. Non ricordavo la domanda.
Ero a casa mia, doveva essere tutto tranquillo. Non era così. L'effetto sorpresa mi congelò definitivamente. Il silenzio incalzava. La radio ha bisogno di tempi rapidi. La responsabilità mi forava di saette.
Capii che poter guardare la gente è un faro nella notte a confronto di dover parlare nell'astratto di un telefonino. Mancano tutti i riferimenti che, per un insicuro, è disastro puro. Non sai a chi ti stai rivolgendo, non capisci che sta succedendo, sai solo che c'è "qualcuno che ascolta". L'imbarazzo salì al suo apice. Parlavo a singhiozzi. Le frasi non arrivavano, il panico le sbriciolava sul nascere. Il respiro latitava. Dovevo fare boccate enormi per riprendermi. Coprivo il microfono mentre lo facevo, per non far sentire gli ansimi. Poi la disfatta.

Nel romanzo "L'idiota", il principe Myskin, protagonista, rompe un intero servizio da te difronte a graziose fanciulle e si sente morire per la vergogna. La cosa buffa è che, prima di romperle, si era imposto così fermamente di non farle cadere per nulla al mondo, che aveva finito per realizzare il suo incubo!

Feci lo stesso errore. Prima di parlare in radio fantasticavo: "Beh, se proprio deve andare male, faccio come Aldo in Tre uomini e una gamba, faccio finta che non si sente dal telefonino, e chiudo la chiamata. Intanto riprendo fiato. Però non succederà dai, figuriamoci..."
Già, non succederà...e invece.
Andò proprio così. Ad un certo punto la mia agitazione era diventata insostenibile e dovetti ricorrere al triste stratagemma.
La radio mi richiamò e mi scusai per l'inconveniente tecnico. Trascinai la voce verso fine trasmissione, abbondanti iniezioni di "voce del boss" furono la sostanza che tenne in piedi l'"intervista".
Il boss non è a conoscenza di questo dettaglio ma, chissà, se lo leggerà magari si farà una risata!

Bloccarmi e tremare di fronte alla gente succede ancora, anche se molto meno.

Ho imparato due cose, in questi mesi.
La prima: gestire l'emozione grazie a una certa continuità "pubblica". 
La seconda: chi viene ad ascoltare lo fa per affetto, perciò, per me, diventa come l'ombra di un albero in una giornata calda. Un rifugio. Molto meglio del tavolo-barricata. Quindi passa la paura di mostrarmi come sono: una persona con tante paure, insicurezze, titubanze. Ma anche con profonda fede nelle mie idee. E condividerle tramite chiacchierata collettiva diventa un piacere.
Mi piace essere sincero con le persone e non recitare o fingere. Però chi parla ha anche responsabilità. Non si può parlare con sufficienza e dire cose tanto per dire. Bisogna parlare col cuore ma anche con la testa. Bisogna vestire a festa le proprie parole per onorare al meglio le orecchie di chi viene ad ascoltarti. E' forse questa "responsabilità" che a volte mi paralizza.
Lentamente la mia capacità di mettere a fuoco ciò che voglio dire e dirlo in maniera pulita in presenza di sconosciuti sta migliorando. Riesco perfino a fare le battute che vorrei. L'emozione però è sempre la stessa. La sento e mi scarica adrenalina nei primi minuti come il getto di una pompa idraulica. Spero di non perderla mai.

Se ti va, lascia un commento! :)

venerdì 27 aprile 2012

La leggenda del forzato mangiatore e dell'inventore degli scacchi

Vi legano a una sedia e vi costringono a mangiare continuamente. La vostra pancia cresce. Più cresce e più i vostri torturatori ne guadagnano (non chiedetemi in virtù di quale perverso accordo).
Ad un certo punto però, la pancia invece di crescere giustamente si tende fino allo spasimo e poi cede, inizia a sbregarsi.
Vi tengono a digiuno per un poco e le ferite si rimarginano. Però, badate bene, non vi liberano. Aspettano che stiate meglio e poi dicono: bene la situazione è tornata sostenibile, ora si può ricominciare a crescere. E la tortura continua. Continua finchè la pancia non scoppia. 
BUM! 
Ecco la bolla finanziaria che è esplosa.
I torturatori, che hanno perso la possibilità di arricchirsi con la pancia che cresce, liberano le vostre mani consegnandovi ago e filo e chiedendo di ricucirvi le budella in modo che possano ricominciare a gonfiare. Ecco che allora arriva l'austerità, altre tassazioni e imposizioni fiscali.
Aggiungiamo il danno oltre la beffa: vi garantiscono che vi stanno riempiendo di cibo mentre vi stanno gonfiando solo di aria.
Questa è la metafora della crescita economica.

La crescita economica è di moda come le VHS.

I soldi non esistono più. 
Le banconote non hanno un corrispettivo ammontare di oro depositato in banca. Il denaro esiste solo in virtù dell'indebitamento degli stati con le banche che speculano molto e investono poco. Lo stato per far fronte questo indebitamento, attraverso i titoli di stato fa domanda di liquidità alla banca. La banca rende "concreta" la domanda traducendola in denaro. Questo denaro però è fatto di aria, creato dal nulla perché basato non su valore tangibile ma sull'ipotesi che, se c'è stata una domanda, allora ci sarà offerta e perciò ci sarà la garanzia che il denaro verrà restituito. 
Come dire: mi butto da un palazzo di 20 metri perché le statistiche sono a favore di chi sopravvive. Logiche di mercato.
Prima o poi la crescita si arresta. Il mercato non può crescere all'infinito. Perfino l'universo smetterà di espandersi e a questa regola non sfugge neppure la borsa.
Perciò, quando la crescita si ferma bisogna fare i conti con i debiti rimasti. Che andrebbero saldati con la liquidità circolante che però (magia) si scopre non esistere!
E allora a chi si ricorre per far fronte al disagio? 
Ai cittadini, ovvio.

Non sono un economista né conosco a mena dito i meccanismi che regolano i rapporti fra stato e bankitalia ma sto cercando di informarmi su questi sistemi, e, pur essendo molto ignorante e assolutamente non tecnocrate, non posso che rendermi conto che in borsa tutto viene immolato nel nome della crescita.

Riporto una leggenda sull'inventore del gioco degli scacchi.
Un misterioso straniero si recò alla corte di un re persiano e gli mostrò il gioco degli scacchi. Il re persiano fu così entusiasta degli scacchi che autorizzò il misterioso straniero a chiedere qualsiasi cifra in cambio. Il misterioso straniero disse: "Come pagamento per il gioco che vi ho portato, vorrei un chicco d'oro sulla prima casella della scacchiera, due sulla seconda, quattro sulla terza, otto sulla quarta, sedici sulla quinta e così via". Il re persiano accettò con soddisfazione. Il giorno seguente i consiglieri chiesero di parlare col re. Erano visibilmente preoccupati. Informarono il sovrano che, casella dopo casella, per poter pagare il misterioso straniero non sarebbe bastato tutto l'oro del loro regno ne quello di tutte le terre conosciute messe assieme. Il re fece tagliare la testa al misterioso straniero.

La crescita porta alla fine.

La crescita è insostenibile come la richiesta del misterioso straniero. Non può progredire per sempre. E le crepe del nostro sistema sono dovute alla fede dei banchieri verso la crescita.
Se fossimo il re persiano, per sostenere che so, il mercato dell'auto, quest'anno dovremmo comprare un'auto, il prossimo due, quello successivo quattro e così via. 
Questo per ogni campo manifatturiero.
Impossibile davvero.

Però si può fare altro. Quando ci esplode la pancia, a mani libere possiamo ricucire le ferite e poi, invece di farci rimettere in catene, difenderci dai torturatori. Mandarli via. Riprenderci ciò che è nostro.

Forse non hanno ancora gonfiato abbastanza. Forse non siamo esplosi abbastanza. 
Ma il punto critico sembra essere vicino. 

giovedì 26 aprile 2012

Meraviglia!

Tante cose diamo per scontate.

Ci si sveglia al mattino e la routine diventa la ruotina. Come quelle dei carrelli della spesa. La ruotina che ci spinge tra gli scomparti di un gigantesco supermercato chiamato mondo, dentro un carrello che è diventato gabbia. E possiamo solo scegliere cosa comprare. Non ci appartiene più nulla. 
Nulla tranne i ricordi.

Quanto costa la meraviglia? 
Dal carrello-gabbia possiamo passare al setaccio ogni corsia, ogni reparto (Corsia? Reparto? Ma è un supermercato o un ospedale?) senza mai trovare in vendita la meraviglia.
Dobbiamo fermarci e cercarla dentro di noi.


Penso alla meraviglia della prima volta che ho bevuto un succo di frutta con la cannuccia. Una magia.

Non la saprei ricordare. Probabilmente ero bambino. Chissà quanta tensione vibrava in ogni cellula del corpo e della mente mentre mi mettevo (o i nonni o i genitori mi mettevano) la cannuccia in bocca. Un'attesa tanto angosciante quanto colma di spirito d'avventura e frenesia per la scoperta. Decidersi di succhiare da quel seno pazzesco a forma di matita cava e aspettare. Iniziare a sentire il succo fruttoso farsi largo fra i denti, lambire la lingua e poi scorrere giù scomparendo nella pancia, dove ogni tatto perde identità. Forse  potrei immaginare le sensazioni della prima cannucciata ricordando il primo bacio. Di sicuro niente in me era preparato a questa cosa che di li a poco si sarebbe abbattuta con la potenza di un uragano. Niente.
Una volta accaduto non è più la stessa cosa.
La prima volta è un miracolo irripetibile.


Ieri ho visto un bimbo bere a cannuccia un succo di frutta. Era la sua prima volta. E l'ho invidiato.
Le cose più belle ci accadono senza farcelo sapere.

Accorgersi di loro significa non farne parte.

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martedì 24 aprile 2012


Sabato 28 aprile, ore 17.00
Libreria Giunti, Città fiera Martignacco-Udine

Con la scusa del libro, parlo di altro :)




Erto 2012. Una tipica ingiustizia da faraoni

Ammetto la mia ignoranza. Ho iniziato a interessarmi alle stranezze edilizie dei faraoni ertani perchè una di queste ha toccato da vicino la mia storia personale. Ma questo spunto iniziale ha fatto scattare una molla più ampia: la voglia di smascherare i faraoni che operano nei nostri paesi.
In sostanza: qual'è il modo di operare dei faraoni? Col tempo e facendomi le domande giuste, mi auguro dipoterlo almeno scoprire. Non pretendo cambiare le cose, ma almeno saperle.

Uno dei prossimi obbrobri edilizi ertani andrà a sfregiare l'area su cui poggia la vecchia casa dei miei nonni (antichissima) e altre case vicine (altrettanto antiche) con una strada asfaltata che, invece di seguire un percorso logico e discreto, sbrega a metà l'intero versante del colle.

Partiamo con una foto che rende subito l'idea.


La strada rossa è quella prevista dal comune, mentre la verde è l'alternativa che abbiamo proposto assieme ad altri residenti interessati a una variante meno invasiva.

Ora veniamo alla lettera che mia sorella ha mandato al comune, per chi fosse interessato. Per chi non è interessato la può saltare.
In sostanza la lettera chiede che vengano valutati anche percorsi alternativi più economici, più rispettosi dell'ambiente e che tengano conto di chi la strada non la vuole perché in quanto deturpa una borgata storica, caratteristica e di grande bellezza naturalistica. Vorrei precisare che noi "dissidenti" non ci opponiamo alla strada in sè. Troviamo che sia un servizio giusto da non negare a nessuno e totalmente in linea con le necessità attuali. Contestiamo solo DOVE viene fatta questa strada, non LA strada.
Ecco la lettera:
Oggetto: Realizzazione strada di accesso località Forcai in Co­mune di Erto e Casso (PN). Istanze/interrogazioni ai sensi dell’art. 60 Statuto comunale di Erto e Casso.
            Essendo a conoscenza che la Sua Amministrazione ha in progetto la realizzazione di una strada di accesso alla località Forcai, con la pre­sente si espongono alcune osservazioni e valutazioni in merito, con l’obbiettivo di tutelare il pubblico interesse, onde evitare il deturpamento di una zona ancora integra con un’opera di utilità quantomeno di­scutibile.
Dopo l’anno internazionale delle foreste, e dopo il tanto rinomato rico­noscimento dell’Unesco, di cui anche il Comune di Erto e Casso si può vantare, si evidenzia come il progetto di cui sopra, di notevole impatto ambientale, andrà a compromettere, praticamente distruggendola, una delle zone rurali e paesaggistiche più caratteristiche del Comune, peraltro confinante con il territorio protetto del Parco Natu­rale Regionale delle Dolomiti Friulane.
 Le peculiarità di un’area protetta si fermano solo burocraticamente al confine della stessa, essendo indubbia la loro estensione anche al territorio limitrofo, come nel caso della località Forcai, caratterizzata da elementi paesaggistici di indiscussa rilevanza naturalistica e paesaggistica.
Si rileva altresì come verrà anche cancellata buona anche parte dei sentieri CAI, presenti non a caso in tale zona, che sono oggi meta di numerosi escursionisti amanti del­la montagna.
Tecnicamente, a titolo esemplificativo, si consideri che è previsto che la prima parte del tracciato venga realizzata in forte pendenza (come evidenziato dalle se­zioni del progetto) con il rischio di smottamenti futuri ed in una zona di vincolo per pericolo valanghe. Per risolvere tale grave problema, il progetto prevede la realizzazio­ne di un invadente muro di sostegno che andrebbe a modificare ed intaccare gravemente il paesaggio.
***
Si chiede pertanto a Codesta Spettabile Amministrazione Comunale, ai sensi dell’art. 60 dello Statuto, al solo fine di salvaguardare e tutelare gli interessi collettivi:
1.      Premettendo che sicuramente le poche persone residenti nella zona interessata hanno necessità di una strada, se sia stata debitamente valutata l’utilità dell’opera
2.      Ammettendo per assurdo che l’opera in discussione sia stata considerata di primaria utilità e d’interesse comune, si chiede se siano state prese in considerazione delle ipotesi di percorsi alternativi, di più facile e conveniente realizzazione, come per esempio quella che potrebbe essere la continuazione della strada che porta al Ristorante Cervo Bianco della quale usufruirebbero i fabbricati dei residenti e gli stavoli della Loc. Forcai; soluzione, questa, che porterebbe a co­struire una strada molto più corta, con meno pendenza, con minore impatto ambientale e in zona soleggiata, evitando così la problemati­ca di una strada perennemente ghiacciata nel periodo invernale, in quanto la zona interessata rimane all’ombra per la maggior parte dell’anno e pertanto coperta da uno strato di ghiaccio non indifferente, creando disagi alla percorribilità. Al contrario, la parte proposta ad ovest è perennemente soleggia­ta.
3.      Se sia stata debitamente valutata la convenienza, non solo economica, di un’espropriazione di terreni di proprietà di soggetti contrari alla realizzazione della strada, contattandoli e sentendo i loro pareri (anche in considerazione del fatto che le proprietà di coloro che vorrebbero la strada non verrebbero per la gran parte toccate).
4.      Se sia già stato considerato ed escluso il possibile recupero della carrozzabile già esistente in loco.
5.      Se sia stato considerato il grave rischio di una costruzione in zona soggetta a valanga e se la costruzione del muro di sostegno, a soluzione del problema, sia stata valutata anche sotto il profilo ambientale.
6.      Se sia stata valutata l’eventuale incidenza di tale opera stradale sulla stabilità delle abitazioni della zona per garantire che non ne venga compromessa la solidità.  
***
            Si allega documentazione di fotoriproduzione della zona, restando in attesa di un cortese cenno di riscontro entro i termini di legge.
            Distinti saluti.
          



Interessante notare che la lettera non ha ricevuto alcuna  risposta ufficiale. Pochi giorni dopo però appare questo articolo sul Gazzettino di Pordenone:



Alla fine dell'articolo si legge la risposta del faraone.
La verità è che non è vero che la cifra per realizzare la proposta alternativa è tre volte tanto l'originale, semplicemente perché NON è stata effettuata nessuna perizia alternativa! Ho appena sentito l'Ufficio Tecnico che mi conferma l'assenza di progetti e valutazioni ufficiali riguardanti la proposta alternativa. Anzi, la telefonata evidenzia gli svantaggi del progetto originale (tracciato rosso):

-costo maggiore a causa di enormi muraglioni che verrebbero eretti per riuscire a incastrare la strada nei tratti più ripidi
-esposizione a nord con conseguenti rischi di gelo maggiore in inverno
-posizione sfavorevole perché alcuni tratti si trovano in zona soggetta a valanghe

I vantaggi della proposta alternativa sono invece:

- costo minore, niente muraglioni e minor pendenza totale (e non come riporta il faraone sul giornale parlando di pendenze impossibili, che si trovano più nel progetto originale che nella proposta alternativa).
-esposizione a sud, meno rischi di gelo in inverno
-fuori da zone valanghive
-facilità nell'essere eseguita in quanto esiste già! Si tratta di una strada sterrata che andrebbe solamente allargata e asfaltata e messa in sicurezza

Il tracciato verde rappresenta una delle tante possibili varianti meno costose e meno invasive da poter realizzare, tutte proposte che non vengono vagliate né studiate.
Perchè?
Perchè il faraone di turno risponde con bugie invece di mettere sul piatto la verità e studiare davvero il problema al fine di arrivare a una soluzione giusta che accontenti tutti e rispetti l'ambiente?

Forse la risposta si trova nel modus operandi del faraone tipico: più l'intervento è scomodo, più soldi vengono smossi. Chissà. A tal proposito sto raccogliendo testimonianze interessanti di passate attività simili, in cui ci si affida a Imprese private che, dopo i "lavori", magicamente decretano fallimento e scompaiono. Ma non voglio sbilanciarmi troppo, ne parlerò prossimamente e con il materiale giusto.

Ecco quindi il quadro della situazione.

Questa storia "personale" è diventato un trampolino di lancio per avviare delle mini inchieste su certe strane attività che avvengono nel mio paese. Sto raccogliendo testimonianze e interviste per cercare di capire come si muovono questi faraoni e quali sono i loro tipici comportamenti. Ogni paese ha il suo faraone. Se riusciamo a capire come operano, forse si riusciamo a smascherarli.
E poi magari anche a mandarli a casa!

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lunedì 23 aprile 2012

I faraoni di Erto

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Erto ha subito lo sfregio del potere dei faraoni che decidono sulla pelle degli schiavi. Le cicatrici sono ancora visibili. 
Una di queste ha la forma della ricostruzione frettolosa che ha arricchito gli appaltatori. 

I faraoni sopravvivono ancora a Erto e nuove cicatrici stanno sbregando il suo volto.

Erto di recente è divenuto un tassello dell'UNESCO.
Alcune sue aree boschive sono considerate ZONA ROSSA, cioè non si può neppure dare un calcio a una zolla di terra per non incorrere in sanzioni severissime.
I suoi edifici sono tutelati da norme altamente restrittive che impediscono restauri troppo spinti di case abbandonate.
Eppure i Faraoni pare possano indossare gli stivali del gatto con gli stivali e saltare a piè pari le voragini che invece bloccano la gente comune. (Volevo ricavare un finestrone al piano terra di un vecchio rudere e non mi è stato consentito, per fare solo un esempio).


Nell'articolo 29 della Legge Regionale 52, che riguarda le norme di pianificazione territoriale, si parla del Piano Regolatore Generale Comunale e delle sue finalità. Eccone alcune:


Il PRGC e' finalizzato a garantire:
a) la tutela e l' uso razionale delle risorse naturali nonche' la salvaguardia dei beni di interesse culturale, paesistico ed ambientale;
b) un equilibrato sviluppo degli insediamenti, con particolare riguardo alle attivita' economiche presenti o da sviluppare nell' ambito del territorio comunale;
c) il soddisfacimento del fabbisogno abitativo e di quello relativo ai servizi ed alle attrezzature collettive di interesse comunale, da conseguire prioritariamente mediante interventi di recupero e completamento degli spazi urbani e del patrimonio edilizio esistente;
d) l' equilibrio tra la morfologia del territorio e dell' edificato, la capacita' insediativa teorica del piano e la struttura dei servizi.



A Erto sono sempre partite attività grosse e fondamentalmente inutili che non rispettano i punti a b c d elencati sopra.
Dalla costruzione di ponti vergognosamente dispendiosi e orrende piste ciclabili di asfalto all'agevolazione del passaggio di tir carichi di ghiaia. Per non parlare dell'osceno scavo selvaggio perpetuato per anni nella pacifica conca dietro al paese di Casso, sfociato in restauri al limite del paradossale (una sala espositiva mai usata con un tetto che fa il verso a una pista di atterraggio per astronavi - visivamente è un incubo: a 10 metri dalle case in pietra si trova un avamposto degno del peggiore star wars) e che ora trova nuovo slancio nella costruzione di muraglioni (buoni per proteggere da tsunami tanto sono alti e spessi) che costeggiano strade asfaltate il cui percorso sembra essere stato tracciato da proboscidi di elefanti che per sbaglio si sono trovate con una matita in mano. Si pensa a creare strade inutili quando ci sono strade trafficate pericolosissime perché minacciate da frane e cadute sassi la cui bonifica non è mai stata ne attuata ne presa in considerazione.
Se un amico di un faraone vuole costruire ai piedi di zone che sono rinomate per la loro purezza ambientale (le quattro coppie di aquile reali che vivono in quei luoghi sono LA prova dell'incontaminata perfezione dell'ecosistema) chiede e il permesso gli viene dato. Se un faraone vuole sbriciolare le scalinate intoccabili di un edificio storico, ha il potere di farlo. 
E tutto questo sta succedendo proprio adesso.
Pare che le decisioni più dispendiose e inutili siano sempre le più accolte nei palazzi dei faraoni. Non si spiegano altrimenti strategie contro ogni rigore ambientale e umano pianificate di recente. Anzi, si spiegano se si abbandona la logica del progresso e del senso civico e del rispetto, per abbracciare quella del denaro

Io mi chiedo: ma chi è che decide di avviare tutte queste attività che nessuno, o la minor parte dei cittadini ertani vuole? 


Scopro con sgomento che chi possiede un terreno a Erto, in realtà lo possiede per finta. Se un faraone decide che ci deve far passare una strada, dove e come vuole lui, lo fa. Ti espropria parte di ciò che è tuo e ci fa quello che vuole lui. 
Se proponi soluzioni alternative più economiche che prevedono meno impatto ambientale, meno dispendio di risorse e un risultato altrettanto efficace se non migliore, la soluzione viene bocciata o non considerata.
Perchè?
Forse perché soluzioni dispendiose, fracassone e ciclopiche, oltre a muovere più terra e distruggere più ettari di bosco, muovono anche più quattrini, per la felicità degli occulti marionettisti che si agitano di nascosto dietro regolamenti, norme e piani regolatori.


Tra un anno si ricorderà il 50° anniversario di una catastrofe voluta dai faraoni moderni, che ha mutilato la libertà, la dignità e felicità di un'intera popolazione.
Allora i faraoni venivano da fuori.
Ora invece sono qui.

Si vedranno autorità dalla faccia contrita piegare la bocca e le sopracciglia in segno di profonda amarezza per ricordare ciò che è accaduto. Ma 50 anni fa avrebbero fatto le scelte che hanno fatto altri al posto loro e che han portato al disastro. 
I faraoni moderni non adorano più il sole o la terra, ma il denaro.

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