giovedì 31 maggio 2012

Omaggio al "Vecchio".

Estate 2008

Mondadori mi contattò per realizzare la copertina di "Storia di Neve".
Ci mettemmo faticosamente d'accordo sul soggetto.
Doveva essere una bimba circondata da alberi artiglio e bufera di neve.
Il giorno seguente queste trattative mi telefonò una loro collaboratrice e mescolò di nuovo le carte in tavola.
"Dovresti provare a fare un volto". Disse.
Cercai di contattare lo staff, per capire meglio.
Inutile, era agosto, e tutti in ferie. Anche la ragazza della telefonata era irrintracciabile.
Che fare?
Decisi per il viso.
Lavorai per tutto il mese.
Ottenni un risultato che reputavo sufficiente.
Entusiasta, consegnai il dipinto. Acrilico su tavola.
La risposta raggelò.
"Non è ciò che ti avevamo chiesto"
Spiegai com'erano andate le cose e mi scusai.
Si scusarono anche loro.
Mancavano due giorni per chiudere i lavori sul libro. andava mandato in stampa. Non si accettavano ritardi.
Non c'era più tempo per fare niente, solo sistemare il bozzetto degli alberi artiglio e la bambina.
Lo feci con poche energie, le avevo spese nel mese di agosto lavorando a tutta birra.


Estate 2010

Stavo lavorando all'embrione di quello che poi sarebbe diventato "Nelle mani dell'uomo corvo".
Il vecchio, a quel tempo, mi faceva da pseudo editor.
Gli sottoponevo delle pagine e lui mi dava alcune dritte.
Vere e proprie lezioni di scrittura, di precisione, di sintesi.
Riusciva darmi le dritte giuste senza andare ad intaccare il mio modo di comporre la storia, fin da subito lontanissimo dal suo stile.
Per il tempo e le risorse che mi ha dedicato in quel periodo, decisi che meritava un omaggio.
L'uomo corvo avrebbe portato come primo libro a Vanessa proprio "Storia di Neve".
E così è andata.
Volli prendermi una piccola "rivincita".
Nell'universo immaginario di Vanessa e dell'uomo corvo, la Mondadori stampa "Storia di neve" con la copertina iniziale.
Un omaggio fra le righe, che alcuni hanno notato e altri no.
Ho voluto fare luce sul "mistero"!




Fino a poco tempo fa preferivo la copertina del viso, ma i boss scelsero l'altra idea. A distanza di anni, penso abbiano fatto bene. Andrebbe solo aggiustata e arricchita. Mi piacerebbe farlo. Chissà, magari per una prossima edizione.


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venerdì 25 maggio 2012

La morte corre lungo le strade di Erto



La passione brucia a velocità stellare.
Non intendo passioni riversate verso persone desiderate, amate, ma l'urgenza irrefrenabile che spinge a rischiare più del dovuto. Per raggiungere sogni o intraprendere attività, vitali quanto l’aria che respiri.
Passioni così possono anche bruciare la vita. 
A coloro che cadono inseguendo sogni va totale rispetto, ammirazione e deferenza.
Ma se questo fuoco mettesse a rischio la vita di chi non condivide lo stesso ardore?
Fatalità?
Certo.
Quella sempre.
Ma.

Venerdì scorso. Percorro con la mia Panda il tratto che da Erto porta a Casso. Sole e cielo tutto azzurro. Infilo il curvone prima del distributore in costruzione. Incorcio cugino: si allena correndo a piedi. “Clacsono” per salutarlo. Alza la mano e sorride. Poco avanti, ragazze in bicicletta. Tutti bordo strada.
Supero il bivio che porta a Casso.
Il cervello non fa in tempo a reagire. Il cuore si ferma un secondo.
Schizza un disco nero davanti agli occhi.
Si inclina. Traballa.
Mi sfiora.
Poi esplode tuono di bomba.
I palpiti riprendono. Respiro.
Sterzo. Rido in silenzio. Se fosse andata male, avrei sterzato da morto.

Quel disco nero era uno dei tanti motociclisti che cavalcano le nostre strade come circuiti di gara.
Iniziata una traiettoria da competizione, la mia presenza lo ha costretto a correggerla come poteva, vacillando pericolosamente per evitare l’impatto. Schizzava a velocità folle su una pallottola due ruote. Di svariati quintali.
Abbiamo rischiato grosso entrambi.
Il mio pensiero corre al cugino. Alle ragazze in bici. A bordo strada.
Telefono al cugino. Tutto bene.

Ieri, episodio simile. Questa volta i motociclisti erano due. Si superavano a vicenda. La statale che divide Erto trasformata nel circuito di Monza. Poco più avanti, a un braccio dai bolidi, madre spingeva il suo bimbo in carrozzina.

Qualsiasi residente di Longarone, Erto, Casso, Cimolais, Claut e di tutti i paesi prima e dopo la Valcellina possono raccontarvene a decine di faccende così. Pare che questo nostro tratto stradale sia una specie di "circuito naturale". I centauri del nordest lo considerano una vera bellezza per la loro voglia di velocità e staccate limite.

La verità è che ogni venerdì, sabato e domenica di bel tempo, dall'inizio dei primi soli primaverili all'arrivo della stagione fredda, percorrere la SS251 è pericoloso. Pericoloso davvero. E la gente ha paura.

Ogni anno muoiono in media due motociclisti nel tratto Erto-Barcis. Quest'anno è già accaduto. Pochi mesi fa. Corrono, curvano, la ghiaia tradisce l’aderenza, escono di strada, impattano contro qualcosa e perdono la vita. Altri incidenti simili a decine, che per fortuna risultano in feriti non gravi.

I centauri da gara li riconosci. Non indossano jeans, giubbotto di pelle e casco che ti permette di guardarli in faccia. Le loro moto non hanno passo da gita. Sono avvolti in tute da prestazione, protetti da caschi a visiera oscurata. Perdono l’umanità per fondersi con la loro bestia motorizzata, diventando una perfetta macchina di velocità.
Vengono apposta per spingersi al limite.

Ho grande rispetto per la vita, per chi lascia questo mondo e per la sofferenza insopportabile della mancanza.
Però, non riesco a smettere di pensare:
"E, se nel mezzo di quella curva fatale, proprio nel punto in cui il centauro rovinava contro il guard rail, stava mio cugino, le ragazze in bici o la madre col passeggino?"

Me lo chiedo e non so rispondermi.

Bisogna attendersi la classica prassi all'italiana (aspettare che muoia un ignaro passante bordo strada) perché chi di dovere prenda provvedimenti?


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giovedì 17 maggio 2012

L'incredibile Dottor Zilbershmidt.

In un mondo in cui i grandi, i colossi, operano il male sui piccoli, i piccoli resistono e fanno del bene.
Tutti i piccoli se fanno il bene, diventano colossali, enormi.
Il mondo è fatto di miliardi di questi giganti piccini, uomini e donne capaci di azioni generose e belle.

Uno di questi ho avuto la fortuna di conoscerlo personalmente: L'incredibile Dottor Shalom Zilbershmidt.
Israeliano di nascita, ha sempre cercato di migliorare la qualità della vita delle persone. Intraprende la carriera di odontotecnico laureandosi a Padova e aprendo poi il suo studio in Gemona del Friuli. Si distingue dagli arricchiti fine a se stessi per una qualità in più. Invece di comprare  BMW, porsche, case al mare e in montagna, o farsi rubare soldi dalla speculazione bancaria, Shalom ha deciso di usare il suo potenziale per qualcosa di concreto, per aiutare chi davvero ha  bisogno di una mano. Realizzare nobili progetti umanitari necessita fondi da investire. La generosità ha prezzo, purtroppo.
Trascurando il geniale bite dentale che ha progettato grazie al quale mette a posto un sacco di magagne fisiche (motivo per il quale mi sono ricolto a lui), parliamo del suo MediT.
Chiacchierando con lui durante le varie sedute, scopro che ha investito enormi risorse per realizzare il suo sogno: una sala operatoria portatile da utilizzare ovunque, in zone di guerra mediorientali o sulla SS51 di Belluno. Il vantaggio di intervenire sul posto, in termini di tempo, è determinante. In situazioni di emergenza, la tempestività salva la vita. MediT permette di iniziare a operare immediatamente, senza dover trasportare i feriti al più vicino ospedale.
Immaginatela come una tenda da campeggio, delle dimensioni di una piccola stanza. E' portatile perché, smontatala, la si trasporta in 4 sacche da 20 chili l'una, strumentazioni comprese. Una persona addestrata, lo monta e smonta in 5 minuti.
Il problema principale dei chirurghi è la sterilizzazione dell'ambiente. Un luogo non perfettamente asettico rischia di essere fatale per pazienti sottoposti a operazioni chirurgiche. Le infezioni potrebbero condurli alla morte.
L'ingegno di Shalom lo ha portato a montare all'interno della tenda MediT tutta una serie di ventole che comprimono l'aria verso il basso, schiacciando a terra tutti i batteri, i microorganismi e le impurità. Risultato? L'ambiente che ne risulta è 1000 volte più serializzato delle sale operatorie nostrane!
Quando tagli carne umana, non deve esserci troppo caldo. temperature che oscillano dai 15 ai 20 gradi massimo vanno benne. Shalom dota Medit di condizionatore, così da ottenere la temperatura desiderata in ogni luogo della terra. Inoltre ricopre MediT di telo termico, capace di mantenere più a lungo la temperatura senza abusare del condizionatore. La tenda-sala operatoria viene costruita e consegnata con tutte le strumentazioni necessarie. MediT utilizza apparecchiature a basso consumo e funziona collegandola semplicemente alla batteria di un qualsiasi auto veicolo.
La purezza dell'ambiente che offre e la sua sicurezza sono state testate e certificate dalle maggiori autorità nazionali Europee di sanità (Testato e certificato conforme ISO 6 secondo lo standard NEBB). 

Shalom Zilbershmidt ha combattuto contro mille difficoltà per realizzare il suo progetto. All'inizio aveva il supporto solo di alcuni amici che credevano nella cosa. Poi, quando ha preso forma  e si capiva che era fattibile, è nato un vero e proprio staff di ingegneri e professionisti. Shalom si è appoggiato ad autorità militari israeliane (i materiali che lo compongono sono costituiti da tecnologia militare e non sono in commercio) perché il nostro paese non credeva e non voleva investire su MediT. Una volta costruito,  testato e certificato Shalom aveva contattato la protezione civile Italiana, proponendogli di usare la tenda-sala operatoria gratuitamente. Ancora una volta l'Italia ha risposto negativamente.

Ora MediT è operativo.
Medici Senza Frontiere, ad aprile, ha acquistato alcuni MediT per far fronte a un attacco terroristico che ha ucciso 282 persone in Congo. La sala operatoria portatile si è fatta valere, salvando centinaia di vite.
Se le cose andranno come devono, MediT diventerà uno standard e potrebbe rivoluzionare il modo di eseguire operazioni chirurgiche nel mondo, rendendo di fatto obsoleti tutti gli interventi d'emergenza eseguiti negli ospedali.

I ricavi di MediT verranno utilizzati per fare del bene, per allargare il bacino d'utenza e renderlo disponibile a tutti i paesi interessati. Speriamo di vederlo presto anche nel nostro paese.

Felice di aver testimoniato l'incredibile vicenda di un uomo dedito a spargere bene.
E, nel mondo, sono in tanti.
Questa è la storia di un progetto di grandi proporzioni, ma, tutti, nel piccolo, ogni giorno, possiamo fare del bene e trasformarci in giganti. Non sottovalutate il potere dirompente di un minuscolo gesto d'affetto e solidarietà. Ne basta uno al giorno.

Per saperne di più:

Sito MediT
Caratteristiche MediT

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venerdì 11 maggio 2012

Nella fossa del sague

"Giù nella fossa del dissanguamento dicono che l'odore del sangue ti rende aggressivo. Ed è vero. Se quel maiale ti da un calcio, tu gli rendi la pariglia. Stai già comunque per ammazzarlo, ma non basta. Deve soffrire, ci vai giù pesante. Insisti, gli fai scoppiare la trachea, lo fai annegare nel suo stesso sangue. Gli spacchi il naso. Un maiale vivo correva in circolo nella fossa. Mi guardava, toccava a me sgozzarlo e ho preso il mio coltello e - zac - gli ho cavato un occhio mentre lui se ne stava li seduto. E il maiale si è messo a strillare. Una volta ho preso il mio coltello - è affilatissimo - e ho tagliato via la punta del naso a un maiale, come fosse un pezzo di mortadella. Per qualche minuto è impazzito. Poi si è seduto con un'aria un po' stupida. Allora ho preso una manciata di acqua e sale e gliel'ho schiacciata nel naso. A quel punto il maiale ha dato proprio di matto, premeva il naso dappertutto. Avevo ancora una manciata di sale in mano - indossavo un guanto di gomma -e gliel'ho ficcato su per il culo. Quel povero maiale non sapeva se cagare o accecarsi. Non ero l'unico a fare roba del genere. Uno con cui lavoravo insegue i maiali facendoli finire nella vasca di scottatura (vasche di acqua bollente). E tutti - autisti, incatenatori, inservienti - usano tubi di piombo sui maiali. Lo sanno tutti, tutto quanto".

Una delle tante testimonianze presenti nel libro di Jonathan Safram Foer, "Se niente importa, perchè mangiamo animali?"

Dove esiste il commercio della carne su larga scala (In USA come in Europa, in Francia come in Italia) esiste l'allevamento intensivo. Dove esiste l'allevamento intensivo il genere di trattamento descritto dalla testimonianza riportata qui sopra è comune, perfino in presenza di ispettori addetti al controllo delle attività interne il macello. Su miliardi e miliardi di animali allevati nel nostro paese (dai maiali alle galline alle mucche) anche se fosse l'1% dei casi, rappresenterebbe una cifra enorme. Ho scritto email ad una catena di grandi distributori che si vanta di produrre carne di ottima qualità perché ha cura degli animali per avere l'elenco dei suoi allevamenti e macelli. Non mi ha mai risposto. Ed è normale che non rispondano. Visitare i moderni allevamenti e macelli è impossibile (Report non è riuscito a realizzare nessun filmato interno) perché recintati e guardati a vista. Non te lo permettono perché accadono cose indescrivibili.
Nel nord Italia ormai esiste quasi solo l'allevamento intensivo, l'Istat conferma una drastica diminuzione dei piccoli allevamenti familiari e la concentrazione di pochi grandi centri. Ecco il rapporto Istat: 
Meno aziende, ma di dimensioni più ampie
La dimensione media aziendale è passata, in un decennio, da 5,5 ettari di SAU (superficie agricola utilizzata) per azienda a 7,9 ettari (+44,4%). Ciò è conseguenza di una forte contrazione del numero di aziende agricole e zootecniche attive (-32,2%), cui ha fatto riscontro una diminuzione della superficie coltivata assai più contenuta (-2,3%). L’effetto delle politiche comunitarie e dell’andamento dei mercati ha determinato l’uscita di piccole aziende dal settore, favorendo la concentrazione dell’attività agricola e zootecnica in unità di maggiori dimensioni e avvicinando il nostro Paese alla struttura aziendale media europea.
Anche la dimensione media aziendale in termini di SAT aumenta rispetto a quanto rilevato dal Censimento del 2000, passando da 7,8 a 10,6 ettari. Tuttavia, in valore assoluto, la SAT complessiva diminuisce (-8%) assai più della SAU (-2,3%), segnale di un processo di ricomposizione fondiaria che ha trasferito alle aziende agricole attive nel 2010 prevalentemente le superfici agricole utilizzate dalle aziende cessate e, in misura minore, i terreni investiti a boschi annessi alle aziende o non utilizzati.
Oltre la metà della SAU totale (54,1%) è coltivata da grandi aziende con almeno 30 ettari di SAU (5,2% delle aziende italiane), mentre nel 2000 quelle al di sopra di questa soglia dimensionale coltivavano il 46,9% della SAU ed erano il 3% del totale.")

Se la sofferenza degli animali non ti tocca, sappi che il cibo prodotto dagli allevamenti intensivi è veleno. Che le pratiche dell'allevamento intensivo sono la causa principale del surriscaldamento globale, dell'inquinamento dell'atmosfera e delle falde acquifere. In più caricano le persone addette alla macellazione di tensioni psicologiche e gravi problemi a gestire la propria aggressività.

Ora che sai la verità, come ti poni verso il mangiare la carne proveniente dall'industria zootecnica moderna?


Se vuoi approfondire



domenica 6 maggio 2012

Realtà che stridono

La repubblica, sabato 5 maggio 2012. Pag. 25.
Un enorme articolo pubblicizza una catena di supermercati-ristoranti che dovrebbero vendere carne alta qualità.
Non serve imbattersi in articoli così orrendamente pubblicitari sui quotidiani, anche la rete ne è piena. False promesse che vogliono dipingere le multinazionali come spargitrici di benessere. Ma queste realtà, sono due realtà che stridono.


Il binomio alta qualità e giganti della distribuzione è ridicolo. Come dire: è una tartaruga, ma corre.

Se hai il potere di creare negozi enormi, devi servire migliaia di persone. Per accontentare così tante persone devi spendere tempo, parecchio tempo. E soldi. Gli animali allevati in maniera tradizionale ci mettono mesi e mesi per raggiungere il peso necessario a essere buoni alla macellazione. Nutrirli con cibi naturali e e curarli con medicine omeopatiche aumenta il costo, di tempo e denaro. Non poterli stipare a centinaia di migliaia in miserabili capannoni significa allevarne un numero incredibilmente basso se comparato alle necessità del mercato attuale. Ciò va a influire sul numero di carne disponibile, che si riduce drasticamente. Se hai poca carne a disposizione, non apri un centro commerciale.
"Riduzione della catena produttiva -ci dicono- per questo abbattiamo i prezzi. Essendo di qualità, dovrebbe costare di più, ma non costa così tanto perché l'allevamento è qui vicino, a pochi km dal ristorante o supermercato". Ci dovrebbero essere centinaia e centinaia di pascoli meravigliosi a pochi km di distanza dal supermercato-ristorante per poter sfamare tanta gente e dare veridicità a questa affermazione. Secondo le tesi degli imprenditori faraoni filantropi, l'intera pianura padana dovrebbe essere una distesa felice di verdi praterie brulicanti animali trattati con tutte le sagge accortezze di un tempo. Ma voi, le avete mai viste queste? Io no. Si vedono per la maggior parte capannoni industriali. 
Per non parlare del denaro. 
La carne prodotta in maniera realmente sana non ha prezzi concorrenziali o sufficientemente concorrenziali. Costa. Costa molto, molto di più. Diciamo che un chilo di carne dovrebbe sempre costare più di 12 euro. Nei supermercati la carne te la tirano dietro. In questi luoghi descritti come oasi di qualità costa poco più che nei supermercati. Ancora non basta per convincere.

Chi alleva in maniera sana non riesce a darsi alla grande distribuzione, aprire ristoranti o supermercati. Per sua fisiologia naturale, produrre carne davvero di qualità abbisogna di molto tempo e denaro. Perciò, chi ha il coraggio e la forza ancora di farlo, rimane piccolo. Le risorse necessarie per essere fatto bene, sono enormi. In larga scala diventerebbero insostenibili se non con accorgimenti da zootecnica moderna.

Tanti (ma purtroppo pochi ancora) piccoli centri sono indizio positivo.
Pochi centri su larga scala puzzano di losco.

Le cooperative agricole vere, ormai poche, dove acquistare la carne, somigliano circa a questi luoghi:




non a questi...





Ma torniamo alla quantità di bestiame allevato. Abbiamo detto che deve essere molto, per forza: deve servire molta gente in poco tempo. Per farlo sono state selezionate razze che in pochi giorni acquistano la massa di un animale adulto normale. Tutto questo a scapito della loro salute, della loro capacità di difendersi dalle malattie. Il rovescio della medaglia. Tutto questo bestiame indebolito geneticamente, non essendoci le praterie mastodontiche necessarie a ospitarlo, deve per forza essere stipato. E quando si comprimono centinaia di migliaia di animali deboli in spazi ridottissimi, le malattie circolano. Circolano eccome. 
Ma i filantropi imprenditori ci dicono che i loro animali non vengono allevati con antibiotici (i maggiori organi di salute pubblica nazionali non sanno dire quanti antibiotici vengono somministrati quotidianamente agli animali perché non c'è modo di controllare queste operazioni. Ma il padrone delle multinazionali ci rassicura, ne è certo. Ma come fa lui a confermarlo quando non lo può sostenere neppure l'istituto superiore di sanità- dipartimento di veterinaria? Se neppure gli allevatori ormai sanno cosa danno da mangiare agli animali perché eseguono solo gli ordini imposti loro dal socidante?). A questo punto speriamo che gli antibiotici vengano davvero utilizzati, a mo' di garanzia, altrimenti quella carne si trasformerebbe in puro veleno!

Chi ha la fortuna di vivere in zone rurali si affidi a conoscenti che per passione allevano galline o maiali all'"antica". Chi può si rivolga a cooperative come le seguenti:
http://www.prober.it/  (Sono ottimi punti di appoggio anche per iniziare a chiedere dove trovare carne davvero di qualità).

Perché su Repubblica non si parla a piena pagina anche di queste realtà, o di mio zio che alleva galline la cui qualità di carne sono certo è fra le migliori del nostro paese? Forse perché non abbiamo i soldi per pagare il giornale e perché il giornale non è interessato se non fa notizia.



Come sempre in questo spazio si parla poco di concretezza e molto di sogni e utopie. Ma i sogni di oggi sono stati la realtà del domani in molte epoche e civiltà. Sogno supermercati e ristoranti vuoti di carne, perché di quella robaccia non se ne vende più un grammo. E poi sogno nascere piccoli supermercati che pagano gli allevatori tradizionali, ormai gli unici "autorizzati" dalle nostre abitudini a vendere quel tipo di cibo. Così, solo così, si andrà a valorizzare davvero la qualità. Il business su larga scala alimenta solo la corsa dei mercati a crescere, crescere e crescere. E le mucche, i polli e i maiali gonfiati come palloni sanno cosa significa crescere a dismisura.

Alcune delle informazioni le ho pescate QUI. Un'inchiesta che vale la pena vedere. Per smascherare le bugie, direi che la formula magica più facile è composta da un pizzico di informazione e quattro spanne di buon senso.


Non sono gli imprenditori che ci salveranno. Ma noi stessi. Con le nostre scelte personali, mirate e quotidiane.
Il mercato sei tu, io e tutti gli altri. Non le leggi della crescita dell'economista di turno.



La verità è proporzionale a quanta gente ci crede. I faraoni lo sanno.

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martedì 1 maggio 2012

Diario di un timido: due performance non proprio da professionista

Il boss di radio onde furlane non sa ciò che scrivo qui adesso.
In effetti, per vergogna, non l'ho mai messo per iscritto.
Alcuni mesi dopo la pubblicazione, tra le cose che mi capitarono, accettai una mini intervista radiofonica. 
Loro ti chiamano tu parli al telefono. Semplice.
Semplice pensavo. Venivo da disastrose esperienze pubbliche, ero convinto che parlare al telefono da casa mia a una radio rappresentasse poco più di una bazzecola.

Alcuni giorni prima mi ero recato in un paese del Friuli, non ricordo il nome ma so che era di domenica e che avrei interrotto con un'auto presentazione un concerto jazz che si esibiva in un'ampia sala al primo piano di una bellissima biblioteca.
"Non c'è mai stata tanta affluenza" aveva detto l'ideatore della manifestazione. Ci tengo a precisare che le quasi duecento persone sarebbero venute comunque, il mio era solo un siparietto che divideva il vero evento, e cioè il concerto. Se da una parte gioivo per la riuscita della cosa, dall'altra mi sentivo morire. Causa: timidezza cronica. Prima di allora c'era sempre stato un "moderatore" a dirigere la chiacchierata, un tavolo-barricata fra me e la gente dietro cui arroccarmi e trarre un poco di sollievo e la formula magica che recitavo sempre alla "mia" spalla del momento: "ehi, se vedi che mi impapino dammi una mano". Un miscuglio di cose che mi infondeva sicurezza. Invece quel giorno avrei dovuto affrontare le persone in piedi, senza tavolo e senza spalla. Niente soccorso in caso di impapinamento. 
Bum. Il concerto parte. Pronti via. le mie palpitazioni erano da maratoneta in fuga.
Mi sentivo fuori luogo. Mi pareva un delitto interrompere un così bel fluire di motivi jazz con il gracchio insicuro della mia figura minuta. Il disagio cresceva sempre di più man mano che i minuti passavano.
Bum. Il concerto è fermo. Vengo chiamato a presenziare. L'attacco c'era, avrei potuto cavalcarlo: Le musiche jazz di prima avevano come tema comune difficili rapporti tra uomo e donna (L'uomo corvo e Vanessa). Poche ore prima, guidando solo in auto, i miei discorsi fluivano lisci come l'olio. Tutto era chiaro in me.
Adesso avevo ingoiato un porcospino. Guardavo la folla. La gente mi guardava.
Spiaccicai un mezzo discorso in partenza. Poi la cosa più comprensibile che dissi fu "lgddldk".
Attacco di panico.
Confusione.
Rossore.
Mancanza di fiato.
Guardai la folla.
"Chiedo scusa".
Partì un caloroso applauso di incoraggiamento. Fu acqua per chi si è perso nel deserto. Fu respirare. Parlai per 5 minuti, dissi quello che mi riuscì in maniera abbastanza pulita. Non cercai di  piazzare le teorie e i discorsi più arditi, mi si sarebbe di nuovo aggrovigliata la lingua. Mi limitai alle frasi e concetti più semplici che mi riusciva.
Finii, e il concerto ripartì.
Avevo addosso una sensazione di sconfitta. Come quando stai per dare matto e per una svista ti mangiano la regina.
Le melodie New Orleans mi fecero dimenticare un po' la pessima performance personale.
Alla fine diverse persone mi dissero:"è bello vedere emozione reale". Ne fui contento e quelle parole ancora mi consolano.

Ricordo quel giorno come uno di quelli più formativi.
"Al massimo mi impapino, balbetto e poi ricomincio" dicevo fra me e me. "Ormai ho superato tutti gli ostacoli". Ne ero sicuro.
Ne ero sicuro anche quel mattino alla radio. Ma di li a poco mi sarei accorto che ci poteva essere di "peggio".

Il boss di radio onde furlane ha una gran voce. Non so se è professionista che ha studiato, sicuramente ha si è allenato per anni . Inoltre la natura lo ha dotato di un timbro felice e suadente, forte, energico che è un piacere ascoltare. Sentire la sua voce in radio e poi la mia, penso sia come guardare la silouette di una elegantissima professoressa e poi spaccarsi i denti serrandoli a difesa del gesso che inchioda sulla lavagna.
Pensavo così mentre lo sentivo annunciare la mia presenza in diretta.
Le palpitazioni cominciarono a salire e a ostruire l'esofago. Il respiro iniziò a mancare.
Toccava parlare a me. Non ricordavo la domanda.
Ero a casa mia, doveva essere tutto tranquillo. Non era così. L'effetto sorpresa mi congelò definitivamente. Il silenzio incalzava. La radio ha bisogno di tempi rapidi. La responsabilità mi forava di saette.
Capii che poter guardare la gente è un faro nella notte a confronto di dover parlare nell'astratto di un telefonino. Mancano tutti i riferimenti che, per un insicuro, è disastro puro. Non sai a chi ti stai rivolgendo, non capisci che sta succedendo, sai solo che c'è "qualcuno che ascolta". L'imbarazzo salì al suo apice. Parlavo a singhiozzi. Le frasi non arrivavano, il panico le sbriciolava sul nascere. Il respiro latitava. Dovevo fare boccate enormi per riprendermi. Coprivo il microfono mentre lo facevo, per non far sentire gli ansimi. Poi la disfatta.

Nel romanzo "L'idiota", il principe Myskin, protagonista, rompe un intero servizio da te difronte a graziose fanciulle e si sente morire per la vergogna. La cosa buffa è che, prima di romperle, si era imposto così fermamente di non farle cadere per nulla al mondo, che aveva finito per realizzare il suo incubo!

Feci lo stesso errore. Prima di parlare in radio fantasticavo: "Beh, se proprio deve andare male, faccio come Aldo in Tre uomini e una gamba, faccio finta che non si sente dal telefonino, e chiudo la chiamata. Intanto riprendo fiato. Però non succederà dai, figuriamoci..."
Già, non succederà...e invece.
Andò proprio così. Ad un certo punto la mia agitazione era diventata insostenibile e dovetti ricorrere al triste stratagemma.
La radio mi richiamò e mi scusai per l'inconveniente tecnico. Trascinai la voce verso fine trasmissione, abbondanti iniezioni di "voce del boss" furono la sostanza che tenne in piedi l'"intervista".
Il boss non è a conoscenza di questo dettaglio ma, chissà, se lo leggerà magari si farà una risata!

Bloccarmi e tremare di fronte alla gente succede ancora, anche se molto meno.

Ho imparato due cose, in questi mesi.
La prima: gestire l'emozione grazie a una certa continuità "pubblica". 
La seconda: chi viene ad ascoltare lo fa per affetto, perciò, per me, diventa come l'ombra di un albero in una giornata calda. Un rifugio. Molto meglio del tavolo-barricata. Quindi passa la paura di mostrarmi come sono: una persona con tante paure, insicurezze, titubanze. Ma anche con profonda fede nelle mie idee. E condividerle tramite chiacchierata collettiva diventa un piacere.
Mi piace essere sincero con le persone e non recitare o fingere. Però chi parla ha anche responsabilità. Non si può parlare con sufficienza e dire cose tanto per dire. Bisogna parlare col cuore ma anche con la testa. Bisogna vestire a festa le proprie parole per onorare al meglio le orecchie di chi viene ad ascoltarti. E' forse questa "responsabilità" che a volte mi paralizza.
Lentamente la mia capacità di mettere a fuoco ciò che voglio dire e dirlo in maniera pulita in presenza di sconosciuti sta migliorando. Riesco perfino a fare le battute che vorrei. L'emozione però è sempre la stessa. La sento e mi scarica adrenalina nei primi minuti come il getto di una pompa idraulica. Spero di non perderla mai.

Se ti va, lascia un commento! :)