martedì 1 maggio 2012

Diario di un timido: due performance non proprio da professionista

Il boss di radio onde furlane non sa ciò che scrivo qui adesso.
In effetti, per vergogna, non l'ho mai messo per iscritto.
Alcuni mesi dopo la pubblicazione, tra le cose che mi capitarono, accettai una mini intervista radiofonica. 
Loro ti chiamano tu parli al telefono. Semplice.
Semplice pensavo. Venivo da disastrose esperienze pubbliche, ero convinto che parlare al telefono da casa mia a una radio rappresentasse poco più di una bazzecola.

Alcuni giorni prima mi ero recato in un paese del Friuli, non ricordo il nome ma so che era di domenica e che avrei interrotto con un'auto presentazione un concerto jazz che si esibiva in un'ampia sala al primo piano di una bellissima biblioteca.
"Non c'è mai stata tanta affluenza" aveva detto l'ideatore della manifestazione. Ci tengo a precisare che le quasi duecento persone sarebbero venute comunque, il mio era solo un siparietto che divideva il vero evento, e cioè il concerto. Se da una parte gioivo per la riuscita della cosa, dall'altra mi sentivo morire. Causa: timidezza cronica. Prima di allora c'era sempre stato un "moderatore" a dirigere la chiacchierata, un tavolo-barricata fra me e la gente dietro cui arroccarmi e trarre un poco di sollievo e la formula magica che recitavo sempre alla "mia" spalla del momento: "ehi, se vedi che mi impapino dammi una mano". Un miscuglio di cose che mi infondeva sicurezza. Invece quel giorno avrei dovuto affrontare le persone in piedi, senza tavolo e senza spalla. Niente soccorso in caso di impapinamento. 
Bum. Il concerto parte. Pronti via. le mie palpitazioni erano da maratoneta in fuga.
Mi sentivo fuori luogo. Mi pareva un delitto interrompere un così bel fluire di motivi jazz con il gracchio insicuro della mia figura minuta. Il disagio cresceva sempre di più man mano che i minuti passavano.
Bum. Il concerto è fermo. Vengo chiamato a presenziare. L'attacco c'era, avrei potuto cavalcarlo: Le musiche jazz di prima avevano come tema comune difficili rapporti tra uomo e donna (L'uomo corvo e Vanessa). Poche ore prima, guidando solo in auto, i miei discorsi fluivano lisci come l'olio. Tutto era chiaro in me.
Adesso avevo ingoiato un porcospino. Guardavo la folla. La gente mi guardava.
Spiaccicai un mezzo discorso in partenza. Poi la cosa più comprensibile che dissi fu "lgddldk".
Attacco di panico.
Confusione.
Rossore.
Mancanza di fiato.
Guardai la folla.
"Chiedo scusa".
Partì un caloroso applauso di incoraggiamento. Fu acqua per chi si è perso nel deserto. Fu respirare. Parlai per 5 minuti, dissi quello che mi riuscì in maniera abbastanza pulita. Non cercai di  piazzare le teorie e i discorsi più arditi, mi si sarebbe di nuovo aggrovigliata la lingua. Mi limitai alle frasi e concetti più semplici che mi riusciva.
Finii, e il concerto ripartì.
Avevo addosso una sensazione di sconfitta. Come quando stai per dare matto e per una svista ti mangiano la regina.
Le melodie New Orleans mi fecero dimenticare un po' la pessima performance personale.
Alla fine diverse persone mi dissero:"è bello vedere emozione reale". Ne fui contento e quelle parole ancora mi consolano.

Ricordo quel giorno come uno di quelli più formativi.
"Al massimo mi impapino, balbetto e poi ricomincio" dicevo fra me e me. "Ormai ho superato tutti gli ostacoli". Ne ero sicuro.
Ne ero sicuro anche quel mattino alla radio. Ma di li a poco mi sarei accorto che ci poteva essere di "peggio".

Il boss di radio onde furlane ha una gran voce. Non so se è professionista che ha studiato, sicuramente ha si è allenato per anni . Inoltre la natura lo ha dotato di un timbro felice e suadente, forte, energico che è un piacere ascoltare. Sentire la sua voce in radio e poi la mia, penso sia come guardare la silouette di una elegantissima professoressa e poi spaccarsi i denti serrandoli a difesa del gesso che inchioda sulla lavagna.
Pensavo così mentre lo sentivo annunciare la mia presenza in diretta.
Le palpitazioni cominciarono a salire e a ostruire l'esofago. Il respiro iniziò a mancare.
Toccava parlare a me. Non ricordavo la domanda.
Ero a casa mia, doveva essere tutto tranquillo. Non era così. L'effetto sorpresa mi congelò definitivamente. Il silenzio incalzava. La radio ha bisogno di tempi rapidi. La responsabilità mi forava di saette.
Capii che poter guardare la gente è un faro nella notte a confronto di dover parlare nell'astratto di un telefonino. Mancano tutti i riferimenti che, per un insicuro, è disastro puro. Non sai a chi ti stai rivolgendo, non capisci che sta succedendo, sai solo che c'è "qualcuno che ascolta". L'imbarazzo salì al suo apice. Parlavo a singhiozzi. Le frasi non arrivavano, il panico le sbriciolava sul nascere. Il respiro latitava. Dovevo fare boccate enormi per riprendermi. Coprivo il microfono mentre lo facevo, per non far sentire gli ansimi. Poi la disfatta.

Nel romanzo "L'idiota", il principe Myskin, protagonista, rompe un intero servizio da te difronte a graziose fanciulle e si sente morire per la vergogna. La cosa buffa è che, prima di romperle, si era imposto così fermamente di non farle cadere per nulla al mondo, che aveva finito per realizzare il suo incubo!

Feci lo stesso errore. Prima di parlare in radio fantasticavo: "Beh, se proprio deve andare male, faccio come Aldo in Tre uomini e una gamba, faccio finta che non si sente dal telefonino, e chiudo la chiamata. Intanto riprendo fiato. Però non succederà dai, figuriamoci..."
Già, non succederà...e invece.
Andò proprio così. Ad un certo punto la mia agitazione era diventata insostenibile e dovetti ricorrere al triste stratagemma.
La radio mi richiamò e mi scusai per l'inconveniente tecnico. Trascinai la voce verso fine trasmissione, abbondanti iniezioni di "voce del boss" furono la sostanza che tenne in piedi l'"intervista".
Il boss non è a conoscenza di questo dettaglio ma, chissà, se lo leggerà magari si farà una risata!

Bloccarmi e tremare di fronte alla gente succede ancora, anche se molto meno.

Ho imparato due cose, in questi mesi.
La prima: gestire l'emozione grazie a una certa continuità "pubblica". 
La seconda: chi viene ad ascoltare lo fa per affetto, perciò, per me, diventa come l'ombra di un albero in una giornata calda. Un rifugio. Molto meglio del tavolo-barricata. Quindi passa la paura di mostrarmi come sono: una persona con tante paure, insicurezze, titubanze. Ma anche con profonda fede nelle mie idee. E condividerle tramite chiacchierata collettiva diventa un piacere.
Mi piace essere sincero con le persone e non recitare o fingere. Però chi parla ha anche responsabilità. Non si può parlare con sufficienza e dire cose tanto per dire. Bisogna parlare col cuore ma anche con la testa. Bisogna vestire a festa le proprie parole per onorare al meglio le orecchie di chi viene ad ascoltarti. E' forse questa "responsabilità" che a volte mi paralizza.
Lentamente la mia capacità di mettere a fuoco ciò che voglio dire e dirlo in maniera pulita in presenza di sconosciuti sta migliorando. Riesco perfino a fare le battute che vorrei. L'emozione però è sempre la stessa. La sento e mi scarica adrenalina nei primi minuti come il getto di una pompa idraulica. Spero di non perderla mai.

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